Pubblichiamo l’intervista a Giacomo che è stata pubblicata sul mensile di Attac il granello di sabbia.
Ringraziamo Pino per l’intervista e la costanza
Resoconto di due mesi trascorsi, dal collettivo genovese “ City Strike ” nell’Ucraina Orientale
Tra le due Repubbliche e il resto dell’Ucraina c’è un vero e proprio fronte? Vi sono combattimenti?
Tutto il confine delle Repubbliche Popolari con l’Ucraina è un fronte dove a dispetto dell’ultima “tregua”, Minsk II, si combatte. Siamo stati più volte a ridosso del confine e abbiamo “sperimentato” cosa voglia dire vivere sotto i colpi dell’artiglieria, o essere soggetti ad incursioni notturne. In generale, al confine a poca distanza da una postazione militare dei miliziani novorossi c’è un presidio militare ucraino, spesso con la presenza di campi minati e di ordigni inesplosi. Bisogna ricordare che vi sono città sotto il controllo delle truppe di Kiev e dei battaglioni di volontari neo-nazisti in cui la popolazione vive un vero e proprio regime di occupazione.
Per quello che avete potuto vedere e discutere con le persone che avete incontrato, ci sono truppe russe?
Gli unici russi sono veterani in pensione provenienti dalle fila dell’ex Armata Rossa, come dell’esercito della Federazione Russa. Sono volontari che come altri provenienti dai territori della ex Unione Sovietica, ma anche da Serbia, Spagna e Italia, per esempio nella Brigata Prizrak non percepiscono alcunché, a questa Brigata non giungono “provviste” dalla Russia da marzo. Bisogna ricordare che l’Ucraina era né più né meno una regione amministrativa dell’ex Unione Sovietica, dove la lingua universale era il russo per un realtà statuale che era un continente, e molti cittadini del Donbass si sentono russi…
Le due repubbliche dispongono di armamenti pesanti e aerei? Forniti dai russi?
La Novorossia non ha né una forza aerea, né una forza navale. Uno dei pezzi dell’artiglieria che abbiamo visto era stato prodotto nel 1980, ma per esempio ci sono alcune armi anti-carro che risalgono alla Seconda Guerra Mondiale! I carri armati sono stati totalmente “espropriati” in combattimento alle truppe di Kiev.
La popolazione vi è sembrata solidale e partecipe, oppure indifferente, o ostile verso il nuovo potere?
I cittadini novorossi hanno prima votato per la propria indipendenza il maggio scorso e poi si sono tenute regolari elezioni. Per quando il nuovo assetto di potere possa essere visto criticamente dai cittadini, non sarà mai percepito come un corpo estraneo come l’attuale governo di Kiev. Per noi il 1 maggio e il 9 maggio sono state due giornate in cui la popolazione ha espresso la sua vicinanza alle istituzioni politiche, che per quanto lacunose e limitate esprimono la volontà di intraprendere un corso politico sociale differente dagli ultimi vent’anni e più di capitalismo criminale.
Di quello che avete visto e sentito, cosa ci terreste particolarmente a comunicare a chi ha come uniche fonti i media occidentali?
Lì ci sono persone che resistono e combattono perché non vogliono fare gli immigrati in UE, o i profughi in Russia. Combattono per potere “conservare” un Paese che gli permetta di campare dignitosamente, nel rispetto reciproco etnico-religioso, con beni comuni inalienabili, e una società basata su saldi valori antifascisti e di giustizia sociale.
Vedere con i propri occhi la situazione, intessere relazioni, portare la nostra solidarietà alle persone colpite dal conflitto erano i nostri obbiettivi che penso siamo riusciti a centrare.
Cosa vorresti aggiungere di considerazioni tue?
La Repubblica Popolare di Lugansk (RPL) è la parte settentrionale della Novorossia, che insieme alla Repubblica Popolare di Donetsk, ha deciso con un referendum poco più di un anno fa di costituire una realtà indipendente dall’Ucraina, a causa della situazione venutasi a creare dopo il colpo di stato del febbraio stesso.
Un contesto che ha visto in Ucraina un’alleanza tra oligarchi e nazisti spodestare un governo legittimamente eletto, rifiutare ogni mediazione, con una escalation di violenza che dalle mobilitazioni di Maidan incominciate a novembre del 2013, dopo il colpo di stato, ha portato all’inizio della cosiddetta operazione ATO a metà dell’aprile del 2014 e da lì a poche settimane alla strage di Odessa del 2 maggio.
Da allora mentre a Kiev regna sempre più un mix di terrore, austerity e sciovinismo, in Donbass si combatte: da un lato le truppe dell’esercito di Kiev e i battaglioni di volontari neo-nazisti provenienti da tutta Europa, dall’altra le milizie popolari composte da popolazione locale e da volontari giunti da ogni parte dell’ex Unione Sovietica, ma anche da altrove: Europa dell’est, Serbia, Spagna e anche Italia.
E’ la prima guerra civile del XXI secolo nel cuore dell’Europa, un conflitto che si è internazionalizzato sin dai suoi primordi, anche perché dietro la furia neo-nazista e il gangsterismo imprenditoriale degli oligarchi ci stavano, e ci stanno tuttora, USA e Europa.
Così l’Ucraina è diventata di fatto una neo-colonia, mentre le popolazioni del Donbass lottano per invertire il corso di un capitalismo criminale durato per più di vent’anni, poter parlare la propria lingua, praticare la propria fede religiosa e arrivare fine delle ostilità…
Penso che la cosa più efficace sia contrastare il partito trasversale della guerra e la sua propaganda travestita da informazione, lottare per l’uscita dell’Italia della NATO e contro la servitù militare agli USA, cercare di stabilire con i popoli del tricontinente una relazione paritetica di scambio e di mutuo appoggio, e non far contro loro la guerra per colonizzarli…
Giacomo ha scritto una poesia. Combattere è una necessità, conclude, per liberarci del tallone di ferro di londoniana memoria, che ci schiaccia il corpo riducendoci a larve spaurite. Cosa rispondono i pacifisti?
GIACOMO: A pochi km dal fronte in una notte quasi insonne ho scritto una poesia, penso che sia uno strumento di comprensione di ciò che abbiamo fatto e della situazione sul campo:
Vojnà
Venuta è la notte,
e a me,
e a noi,
non dà tregua
e tra il rumore indistinto della pioggia
forse sono i Grad che trovano riposo nel terreno
o forse sono solo nella mia testa
pensieri che illuminano come bengala
la traiettoria delle mie paure
C’è chi la guerra l’ha cantata con versi sublimi
che sia sterminata la sua stirpe
resi di cenere i loro corpi
e gettato del sale sulla polvere che ne rimane
non si può coltivare la terra che hanno contaminato,
così come le mine non producono frutti
La guerra è piscio seminato ovunque in cessi otturati
E acqua fredda quel che basta per gelarti l’animo
È l’odore acre dei giorni che passano sulla tua pelle
Come quel puzzo di fumo di stufe improvvisate sui tuoi vestiti
Ma è anche altro
Morte, mutilazione, privazione, paura
È il tempo che ti divora mortalmente come il sangue di una ferita
O il tempo che ti azzera e che non dà il tempo per dirti che sei morto
Lontano qualcuno ti pensa
E scambi con il mondo beat estemporanei
Nel punto d’accesso dell’unico wireless
Accalcato come in una fila disordinata
Per prendere l’autobus del mondo di fuori
La guerra è una merda, ma bisogna farla
E saperla fare per potersi difendere e sapere attaccare
I burattini di un nemico, e il nemico stesso:
l’alambicco che liquefà i miei pensieri,
li rende di ferro incandescente per conficcarsi nelle loro carni in profondità,
perché solo il coro delle loro grida di dolore,
sarà l’incipit di una opera corale che bandirà la parola guerra dai dizionari.
Ma per ora bisogna lottare,
anzi bisogna combattere, ognuno come può, ognuno a suo modo
anche e soprattutto contro la paura di combattere
che ha lasciato segni profondi nelle nostre anime
fino a trasformarci in sempiterne larve
continuamente schiacciate dallo stesso tallone di ferro.