Lo scorso 26 agosto 2015, una forte protesta del CLPT di Trieste (coordinamento lavoratori portuali Trieste) e dell’USB ha scosso il porto di Trieste. Le richieste erano: blocco della privatizzazione del consorzio ferroviario Adriafer, pagamenti stipendi arretrati non corrisposti, fine del precariato diffuso, applicazione dell’allegato VIII deel trattato di pace di Trieste siglato nel 1947. La polizia ha cercato di impedire il picchetto dei lavoratori. Nei giorni seguenti, l’Ente Porto e la Prefettura hanno firmato un protocollo in cui molte ragioni dei lavoratori sono state accolte.
Ecco una nostra breve intervista ai lavoratori del CLPT/USB di Trieste
Come preferite essere presentati?
Il CLPT è partito come movimento di lavoratori portuali stanchi del sistema e dei sindacati confederati.
Quali sono le ragioni dello sciopero?
Le ragioni dello sciopero sono dovute al malcontento generale, alla totale assenza di risposte concrete da parte delle istituzioni, e per richiedere l’applicazione effettiva dello status speciale del Porto Franco internazionale di Trieste.
Lo sciopero è collegato alla recente idea di riorganizzazione dei porti annunciata e poi rimandata la primavera scorsa dal governo?
No, il nostro sciopero è strettamente legato alle problematiche locali.
Rispetto agli altri porti italiani esiste una specificità del porto di Trieste?
Si, il Porto Franco Internazionale di Trieste è regolamentato dall’allegato VIII del trattato di pace di Parigi del 1947. Il porto di Trieste è una zona franca extraterritoriale. Status ricevuto già nel 1719, praticamento lo stesso che ha ricevuto il porto da Shangai nel 1840. Il porto di Trieste ha il privilegio di far parte dei 5 porti al mondo con uno statuto speciale.
La privatizzazione delle banchine come incide su salari e sicurezza?
Noi consideriamo la figura del terminalista come il cancro del porto, è una figura non contemplata dall’allegato VIII. Una figura che, a favore del profitto, impedisce una retribuzione idonea, ha una forte indifferenza alla sicurezza, spingendo le persone ad ecessivi carichi di lavoro e turnistiche estenuanti.
Si stanno creando (a Napoli per esempio, mentre a Genova esiste da anni il coordinamento autonomo lavoratori portuali) coordinamenti tra lavoratori portuali. Pensi che sia una buona idea?
Noi siamo orgogliosi che anche altri porti italiani si siano svegliati, e che abbiano preso consapevolezza che insieme si può demolire il sistema. Noi crediamo che nel giro di un anno o due, si finirà con il fondare il CLPI (coordinamento Lavoratori portuali Italiani) al fine di creare il sindacato autonomo dei porti.
I portuali di genova stanno ragionando su una riforma del modello portuale sulla falsariga dei modelli del nord Europa (Anversa per esempio). Pensate sia una idea praticabile?
Purtroppo non conosciamo l’argomento ed attualmente non siamo in grado di formulare una risposta.
Intervista curata da un compagno portuale in servizio al VTE di Voltri