Il 5 maggio a Genova una manifestazione di circa 4 mila tra insegnanti, famiglie e studenti ha tenuto per tre ore bloccato il centro cittadino. Il corteo, in appoggio allo sciopero unitario della scuola, era aperto da uno striscione che chiedeva il ritiro del disegno di legge sulla buona scuola. Si è trattato di un corteo fortemente voluto dai Cobas e dal neonato coordinamento “La buona scuola siamo noi” allo scopo di permettere la più ampia partecipazione e lanciare un messaggio alla città mentre le organizzazioni degli studenti e i sindacati confederali hanno deciso di concentrare le forze nella manifestazione convocata a Milano. Il corteo si è riempito fin da subito di insegnanti provenienti dalle scuole in sciopero della città che in maniera autoorganizzata hanno portato striscioni, cartelloni e strumenti musicali improvvisati. Quasi tutte le scuole della provincia erano chiuse con adesioni allo sciopero altissime. Dal furgone di apertura si sono alternati docenti e studenti delle scuole genovesi che hanno spiegato la contrarietà al disegno di legge che ridisegna la scuola in senso privatistico, non restituisce gli scatti di anzianità bloccati da anni e fa finta di assumere alcuni docenti precari che in una recente sentenza europea hanno visto riconosciuti alcuni diritti e devono essere stabilizzati per legge.
In tutta Italia l’adesione allo sciopero e la partecipazione ai cortei è stata altissima obbligando il Governo Renzi a una ritirata verbale che per il momento è solo propaganda. Fino ai giorni precedenti il Governo e i media definivano squadristi i docenti e gli studenti che contestavano. A Bologna, un tentativo di contestazione a Renzi è stato brutalmente represso dalla polizia. Dopo lo sciopero Renzi si dice disponibile a trattare su alcuni punti ma in realtà le aperture non ci sono e le offerte di dialogo sembrano più rivolte al dibattito interno al Partito Democratico o un’offerta ai sindacati complici per far rientrare la protesta.
In realtà, la cosiddetta buona scuola è l’ennesima riproposizione di un progetto decennale che prevede lo smantellamento dell’istruzione pubblica e statale attraverso la creazione di una reale scuola impresa in cui i dirigenti dettano legge, possono assumere, licenziare e decidere degli stipendi del personale. Il tutto condito da sottrazione di fondi pubblici e vincoli sulla competitività delle scuole legate ai risultati valutabili con i test invalsi. Si tratta del metodo anglosassone che prevede scuole divise in categorie di valore legate a un merito indipendente da ogni contesto socio-economico. In questo modo si creerebbero scuole di serie A e di serie B, finanziando solo le scuole migliori e lasciando andare alla deriva le scuole meno virtuose. Come negli Stati Uniti ci saranno scuole di lusso per i ricchi e scuole scadenti per i figli dei lavoratori. Il tutto finanziando lautamente le scuole private che in Italia sono ancora una parte molto minoritaria.
Per ottenere questi risultati Renzi e il ministro Giannini mettono in campo tutta la loro propaganda alimentando anche una guerra tra lavoratori precari e docenti di ruolo che va totalmente rispedita al mittente. Così come va respinta ogni ipotesi di scontro tra le diverse tipologie di precari che devono rivendicare uniti i propri diritti all’assunzione e al rispetto delle graduatorie.
La risposta del mondo della scuola è stata quindi importante e mette effettivamente il bastone tra le ruote a un progetto di ristrutturazione che è visto di buon occhio dai poteri economici che si apprestano a calare la carta del lavoro gratuito sotto forma di stage per studenti già annunciato dal ministro Poletti.
Oggi i docenti devono prendere spunto da questa lotta generale per non cedere ai progetti del Governo e non farsi incantare dalle lusinghe di un dialogo che non porterà a nulla se non a una proroga del decreto legge che sotto diverse forme viene puntualmente ripresentato. Il mondo della scuola e chi ci lavora ha una responsabilità enorme perché si trova a contatto con studenti che saranno futuri lavoratori e con famiglie di lavoratori che subiscono gli effetti delle ristrutturazioni capitaliste in tempi di crisi. Oggi nessun lavoratore ha amici nei parlamenti e tra i partiti politici ma ha parecchi alleati naturali tra i lavoratori delle altre categorie. Gli interessi dei docenti, sia quelli materiali che quelli sociali legati alla serietà del proprio lavoro non possono essere distinti dai diritti di chi è vessato dal jobs act, dalla disoccupazione o dalla precarietà. Unire le lotte dei lavoratori di varie categorie è quindi una scelta indispensabile per invertire una rotta che porta alla diminuzione delle tutele di tutti. In questo senso, lo striscione del coordinamento lavoratrici e lavoratori di Genova presente all’inizio del corteo sul furgone di apertura che recitava “Docenti, metalmeccanici e portuali, uniti si vince” più che una esortazione era la rappresentazione simbolica di ciò che la classe lavoratrice dovrebbe mettere in campo per difendersi e contrattaccare.