Nella giornata dello sciopero generale Genova è stata una delle città cardine. La nostra città è ancora, nonostante decenni di ristrutturazione capitalista, una città in gran parte operaia. Diciamo questo sapendo che si tratta di una forza separata, per certi versi residua numericamente ma ancora in grado di scuotere l’intero corpo cittadino. I casi Fincantieri e ILVA, come la forza dei lavoratori portuali ci parlano della nostra storia cittadina non come un pezzo di passato glorioso ma come una realtà tutt’ora in piedi. Le lotte di AMT dello scorso anno, le attuali lotte di AMIU contro la privatizzazione e le decine di vertenze in corso sono potenzialmente in grado di rivolgersi all’intero corpo dei lavoratori.
Due cortei di lavoratori hanno attraversato la città e si sono uniti con uno spezzone sociale che in Piazza De Ferrari ha ascoltato con diversi gradi di interesse il segretario della FIOM dire cose in gran parte condivisibili. Fin dalla mattina presto un folto gruppo di lavoratori portuali ha bloccato i varchi del porto unendo rivendicazioni sociali ed economiche per lungo tempo tenute separate.
La parte più combattiva, dai lavoratori del Porto alle aziende del ponente, ha caratterizzato la giornata di lotta con slogan che fanno piazza pulita di tutte le cautele e le dimenticanze delle burocrazie sindacali che in questi anni sono state complici di un disastro che ora rischia di travolgere anche loro.
Non sta a noi schierarsi con queste burocrazie (che vanno cacciate al più presto) ma va notato come le parole d’ordine degli operai e dei quadri più combattivi sono in grado di trascinare i cortei e di determinarne i contenuti.
Sappiamo molto bene con chi abbiamo a che fare e non ci fidiamo per niente. Sappiamo che il Landini di Genova è diverso dal Landini che qualche mese fa flirtava con il neo eletto Renzi. Sappiamo anche che esistono pezzi di sindacato che hanno però una maggior sintonia con il sentimento operaio e che questo sentimento deve far valere la sua propria forza.
Abbiamo visto in piazza (è inevitabile) pezzi di burocrazia che stringevano le mani a Cofferati o ad altri pezzi di quel Partito Democratico che è il reale esecutore di quei diktat europei che causano il disastro che viviamo tutti. Sappiamo molto bene che una maggioranza di quel sindacato che convoca gli scioperi non vede l’ora di rientrare in quel meccanismo concertativo che prevede per loro solo prebende e per noi solo sacrifici, disoccupazione e manganelli.
Sappiamo anche che il sindacato è per i lavoratori uno strumento e i lavoratori usano gli strumenti che hanno a loro disposizione. Uno di questi è l’unità delle lotte, per questo affollano questi cortei nonostante la distanza che li separa dai loro rappresentanti.
Ovviamente pensiamo che la Cgil userà questa forza per rientrare nei giochi. Sappiamo però che quei giochi sono finiti non perché Renzi sia più cattivo di altri ma perché da venti anni è saltato quel “patto tra produttori” che rendeva possibili le politiche socialdemocratiche. Per lunghi anni padroni e lavoratori hanno potuto usufruire in maniera diseguale e ingiusta di una torta che salvava i padroni rendendoli sempre più ricchi e potenti mentre ai lavoratori rimaneva sempre qualche osso. Oggi la situazione è completamente cambiata e quel patto non ha più gambe. Oggi occorre stare da una parte sola, difendersi e lavorare affinché sia possibile contrattaccare.
Qualche compagno scriveva e diceva durante lo sciopero che il 12 dicembre deve essere solo il primo passo. Noi pensiamo che sia così ma pensiamo anche che dobbiamo dotarci di quegli strumenti di classe che permettano questa lotta e la rendano più efficace.
Mentre scriviamo le officine OMS Ratto hanno appena sospeso l’ occupazione permanente ma i padroni le stanno liquidando, le nubi su Esaote sono sempre più fitte, l’ILVA rischia di chiudere definitivamente per essere poi regalata a qualche multinazionale, AMT e AMIU stanno per essere privatizzate e svendute. Si potrebbe continuare con altre vertenze decisive che riguardano migliaia di lavoratori, l’indotto e il futuro di una città intera.
Oggi manca in Italia una organizzazione di classe dei lavoratori in grado di fornire stimolo e sponda ai settori più combattivi spostando la lotta su un piano politico. Per questo dobbiamo costruirla con pazienza, aggregando forze e unendo quei compagni che mettono al centro della loro azione il conflitto tra capitale e lavoro scegliendo una sola parte, quella dei lavoratori e dei proletari.
In secondo luogo crediamo che i lavoratori più combattivi debbano creare strutture intermedie che intervengano nelle lotte cercando di saldarle la dove i sindacati lavorano scientificamente per dividerle. In questo senso ci pare utile lavorare ad un coordinamento operaio cittadino che lavori per aggregare chi si trova in difficoltà e chi è disperso. Un coordinamento che dica semplicemente che “Chi tocca uno, tocca tutti” e che sappia aggredire i veri nemici che sono il PD, l’Unione Europea delle banche e il capitalismo.
Se divisi non siamo niente, uniti e organizzati
Noi Saremo Tutto