Nel momento in cui scriviamo il Paese ha raggiunto il 54esimo giorno di isolamento.
In questo lasso di tempo, la gestione sconsiderata della pandemia da Covid-19 – sono riusciti a fare peggio solo gli USA di Trump – ha causato ufficialmente la morte di oltre 28 mila persone.
Non particolarmente curante di questo e altri dati (1) il Presidente del Consiglio Conte, domenica 26 aprile ha varato la cosiddetta “fase 2”, quella in cui il sistema paese dovrebbe riattivarsi per tornare alla “normalità” a partire da lunedì 4 maggio.
Non è nostra intenzione, in questa sede, sottolineare la sconsideratezza di una simile scelta dal punto di vista sanitario (2), o quanto essa sia il risultato della costante pressione dei padroni, che prima hanno ottenuto un de potenziamento enorme della serrata generale (3), con tutto ciò che ne è conseguito a livello di estensione del contagio (4), ed ora possono finalmente accarezzare il miraggio del ritorno ai profitti di “ieri”. Un miraggio appunto, che quasi certamente nasconde un disastro di proporzioni oggi incalcolabili cui nessuno, in questo continente, pare volersi attrezzare per farvi fronte nel modo giusto (5), anche perché, a questo giro, è probabile che il consueto massacro dei subalterni non sarà sufficiente a salvare le sorti di tanti piccoli e medi “commendatori”.
È l’essenza di quella che abbiamo preso a chiamare “crisi sistemica”. Di seguito argomenteremo per quale motivo essa non venga tutt’ora percepita nella propria portata dalle classi dirigenti di questo paese.
Come scritto in apertura, 54 giorni di quarantena, al netto di un’insopportabile clima di unità nazionale sparso a piene mani da media infarciti di retorica bellica (6) hanno messo a nudo le criticità accumulatesi in 40 anni di capitalismo declinato in chiave neoliberale.
Dallo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale non più in grado di tutelare il diritto alla salute, alla deindustrializzazione per cui mascherine e ventilatori polmonari sono divenuti notte tempo beni di sconcertante rarità, anche il cittadino più disinteressato o indottrinato dal pensiero unico ha dovuto riconoscere che il Paese è semplicemente collassato.
Non esiste altro termine per definire un sistema che “tiene” provocando 28 mila morti, sottoponendo a un livello di sfruttamento che farà storia il personale sanitario e puntellandosi grazie alla solidarietà di nazioni – Cuba, Cina, Russia – tutt’oggi considerate, al più, come “in via di sviluppo”, se non come stati canaglia tout court.
Parimenti, 54 giorni di isolamento, nonostante la propaganda martellante (anche contraddittoria, vedi i litigi tra virologi, epidemiologi ed “esperti” d’ogni risma, assurti a nuovi tronisti di tutti i palinsesti mediatici) hanno consegnato all’opinione pubblica l’immagine di una classe politica e dirigente composta da “vecchi burocrati e recenti alfabetizzati” (7), completamente inadeguata a gestire l’emergenza sanitaria e del tutto incapace a comprenderne i solchi che l’attuale condizione pandemica scaverà in ogni ambito della vita sociale del Paese e non solo.
In questo periodo, abbiamo notato come nelle opinioni maturate a sinistra, spesso si produce l’equivalenza per cui l’incapacità della classe politica, nella realtà riflette “meccanicamente” la natura di classe dei provvedimenti emanati. Che esiste ed è evidente ma è accompagnata in egual misura da molta impreparazione, pressapochismo e voglia di apparire a tutti i costi per motivi i più disparati.
L’episodio più emblematico in questo senso è stato quello relativo al gruppo di lavoro, incaricato da Conte di delineare la “fase 2”, presieduto da Vittorio Colao.
L’ingaggio dell’ex CEO di Vodafone (8) ha giustamente sollevato gli strali non solo dei compagni ma anche di tanti semplici “democratici” che nel nome di Colao hanno visto identificato l’esclusivo indirizzo padronale delle scelte governative relativamente alla ripartenza del paese.
Tale indirizzo è certamente reale e si era già manifestato, come abbiamo detto poc’anzi, in una serrata particolarmente ricca di deroghe a favore dei padroni.
La scelta di Colao, tuttavia dice molto di più:
1) ci indica che l’approccio “smart” alla produzione di beni e servizi si imporrà definitivamente come terreno di imposizione di nuove subalternità per i lavoratori, mandando in soffitta – si spera definitivamente – 20 anni di tormentoni circa il ruolo salvifico incarnato dalle tecnologie digitali a prescindere da chi ne detenga la proprietà e la carica rivoluzionaria sottesa al “cognitariato” che dalla digitalizzazione avrebbe tratto libertà creativa e reddituale rispetto all’operaio fordista. Per farla breve la “classe aspirazionale” (9) tutta social network e cosmopolitismo d’accatto, rischia di ritrovarsi a fare il “rider” con una bella pettorina di Deliveroo, Just Eat o Fodora indosso (10);
2) ci dice che, improvvisamente, il lavoro vivo, quello che non può essere mediato completamente dall’automazione nemmeno nella “gig economy” dei “rider”, è tornato improvvisamente fondamentale (11); anche nella narrazione mediatica non è più derubricabile a mera variante dipendente dei profitti. Proprio al fine dell’accumulazione di profitto e della riproduzione sociale nell’attuale sistema, il lavoro vivo è, anzi, indifferibile e richiede professionalità di alto livello – capitalisticamente parlando – per essere nuovamente irregimentato dopo gli scioperi spontanei che a marzo hanno riconsegnato, seppur per breve tempo, una centralità alla “classe operaia” che non era riconosciuta come tale dagli anni ‘70 del secolo scorso.
Su questo argomento intendiamo essere particolarmente chiari: è quello un punto da cui partire, è quella la forza che va risvegliata, sostenuta e in prospettiva resa fattore sistemico a favore dei subalterni. Perché anche l’attuale problema, il tornare a lavorare, non è una questione di se, ma di come e per produrre che cosa: in quali condizioni di sicurezza, con quali contrattazioni che canonizzeranno lo “smart working”, se per produrre mascherine e respiratori oppure F-35 ecc.
Su questo fronte, per la prima volta dopo decenni, i lavoratori hanno intravisto nuovamente la possibilità di poter incidere. Non dobbiamo consentire ai padroni di mettere nuovamente sotto cloroformio queste spinte. Dai luoghi di lavoro, inoltre, può ripartire, sfruttando il potere di chi deve, per forza, tornare a lavorare una richiesta complessiva che non si limiti alle officine o ai mezzi di trasporto ma alluda alla sicurezza per tutti, anche quelli che stanno a casa ma soffrono come altri perché la sanità è stata smantellata, il reddito di emergenza è una chimera e se ti ammali non hai neppure la possibilità di fare i tamponi e rischi di morire a casa tua o in una casa di riposo.
3) ci indica che i decenni di ristrutturazione neoliberale scanditi dal mantra “più Stato per il mercato” hanno consunto fino al punto di non ritorno la capacità dello Stato stesso di formare e selezionare una classe dirigente in grado di conoscere, governare e nel caso modificare la riproduzione sociale del Paese, anche in antitesi momentanea all’accumulazione di profitto borghese (12);
4) sancisce ormai in via definitiva il totale superamento del paradigma democratico nella gestione della riproduzione sociale del Paese. La Costituzione del 1948 è formalmente ancora in vigore, ma nella prassi politica è stata sostituita in toto dal governismo emergenziale, quello che scade rapidamente negli stati di eccezione, dove si creano “task force” – ultima in ordine di tempo quella posta in essere dalla ministra Azzolina per organizzare la ristrutturazione della scuola al tempo della pandemia – di soggetti avulsi dalle istituzioni, del tutto slegati da qualsivoglia controllo democratico, con un Parlamento trasformato di fatto in un contenente vuoto di potere, di istanze e pure di legittimità dato il livello intellettuale e culturale insulso della classe politica che lo occupa.
A fronte di quanto appena esposto, è evidente come la crisi odierna travalichi ampiamente i seppur gravissimi aspetti sanitari e, dunque, sia impossibile anche soltanto sperare che “andrà tutto bene”.
Ciò, è bene sottolinearlo, non soltanto a causa del vuoto pneumatico della classe dirigente di cui abbiamo appena scritto, e dei rivolgimenti economici che stanno pesantemente minando la tenuta sociale e geografica del Paese (13), ma anche a causa dell’atomizzazione su base ultra individualista di quello che identifichiamo come l’ipotetico nostro “blocco sociale” di riferimento.
Lo dimostrano questi ultimi giorni di isolamento forzato, dove ampia parte della popolazione ha manifestato segni palesi d’insofferenza nei confronti del confinamento e una voglia di ritorno alla “normalità” che, per quanto comprensibile, è tutta declinata in chiave puramente individualista e rischia seriamente di soffiare il vento in poppa alla smania confindustriale della riapertura a tutto tondo, accelerando un ritorno di fiamma del contagio. Tutto questo mentre una profilassi di cura per il Covid-19 è ancora al di la da venire, così come un vaccino.
In questa condizione l’obiettivo da perseguire crediamo risieda nello stimolare l’autorganizzazione sociale – che è uno dei pochi lasciti positivi di questo disastro – a emanciparsi dall’alveo meramente solidaristico per elevarsi a una forma prima di coscienza e immediatamente dopo d’azione politica antagonista (14). Non è certamente un impegno facile, considerando il minimale accesso agli spazi pubblici che un potere sempre più in crisi di legittimità, molto probabilmente, proverà ad imporre come nuovo standard delle relazioni sociali.
Tuttavia, è quasi certo che la marea montante della crisi economica prossima ventura, unità alle limitatissime capacità d’azione dell’attuale classe dirigente (15), forniranno probabilmente ambiti d’azione fino a ieri impensabili.
Note:
(1) come questo “abbiamo chiuso l’Italia con 1.797 casi al giorno e la riapriamo tutta quanta insieme con 2.200”
(2) https://contropiano.org/news/politica-news/2020/04/27/una-riapertura-da-pazzi-scriteriati-0127282
(5) https://www.citystrike.org/2020/04/24/consiglio-europeo-i-lavoratori-hanno-perso/
(6) https://www.carmillaonline.com/2020/04/16/retorica-bellica-e-narrazione-della-pandemia/
(7) Aldo Giannuli – Governo e autorità hanno fallito https://youtu.be/v0XxRXYkmU8
(8) esaltato non solo in quanto presunto manager di successo, ma anche perché “sbirro dentro” https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/04/11/colao-il-manager-carabiniere-dentro/5767244/
(9) La nuova classe aspirazionale – http://www.militant-blog.org/?p=14736
(10) La città e il lavoro nella “fase 2” – http://www.militant-blog.org/?p=16044
(12) Il fatto era per altro divenuto già manifesto a fronte dell’incapacità governativa di tracciare la filiera produttiva localizzata sul territorio nazionale, al fine di tentare una seppur parziale riconversione in tempi rapidi o per contingentare la produzione già attiva sull’emergenza sanitaria rispetto alle esigenze di profitto della singola azienda (emblematico il caso dei tamponi volati in marzo da Brescia agli USA).
(13) Rimandiamo in merito alla penultima domanda rivolta a Raffaele Sciortino in questa intervista.
(14) Fase 2 – Incubo sulla città contaminata – https://www.carmillaonline.com/2020/04/29/economia-di-guerra-3-fase-due-incubo-sulla-citta-contaminata/
(15) https://www.citystrike.org/2020/04/24/consiglio-europeo-i-lavoratori-hanno-perso/