Non è nostra intenzione inserirci nello scontro in atto da giorni tra beatificatori e detrattori del trapassato amministratore delegato di FCA.
Crediamo tuttavia che da questo confronto un po’ surreale sia possibile trarre qualche spunto di riflessione.
Pensiamo sia fuorviante tessere le lodi dell’azione manageriale di Marchionne, quanto meno nel senso “lavorista” che post mortem i suo santificatori gli vorrebbero attribuire.
Il manager, infatti, fu arruolato al vertice dell’allora FIAT con l’unico obiettivo di salvare la moribonda azienda di casa Agnelli dalla bancarotta.
In un contesto di strutturale saturazione del mercato automobilistico, e altrettanto strutturale allergia della famiglia Agnelli agli investimenti, Marchionne fece l’unica cosa che restava da fare e che per altro il 99% della grande industria occidentale aveva già fatto: finanziarizzare il gruppo e internazionalizzarlo.
Il “colpo gobbo” con cui Marchionne portò a casa Agnelli prima la rescissione dell’accordo con General Motors e poi la proprietà di Chrysler è il frutto di quella consapevolezza.
Una consapevolezza che la sinistra, non ha mai manifestato di possedere, sia nella declinazione “liberale” subito accodatasi ai taumaturgici disegni di Marchionne all’insegna della difesa a oltranza di un “meno peggio” che sempre peggio resta; sia quella più radicale, ai tempi rappresentata da una FIOM che, per quanto abbia condotto la sua ultima, dignitosa battaglia, diede riscontro di non possedere alcuna visione alternativa al paradigma industriale classico che non fosse quella della difesa a oltranza di una prospettiva “lavorista” fuori tempo massimo, non soltanto perché il cosiddetto “post fordismo” nell’emisfero occidentale è fatto acclarato da ormai 3 decenni, ma più banalmente perché è senza futuro la prospettiva di poter saturare ulteriormente le nostre città di mezzi di trasporto privati.
Se, quindi, il paradigma manageriale di Marchionne andava combattuto senza esclusione di colpi quando era in vita e va combattuto oggi quando i giornali di complemento tentano di elevarlo a sistema, ciò va fatto in un’ottica che coniughi la dignità degli sfruttati rimasti vittime dell’adeguamento FIAT ai più moderni stadi dell’accumulazione capitalista e la prospettiva di uno sviluppo economico e sociale posto su un piano necessariamente di rottura rispetto al progresso dei decenni trascorsi, le cui criticità non ne consentono più la riproposizione, ma ne impongono solo il rovesciamento di interessi in favore dell’esistenza degli sfruttati.
Dalla nostra pagina fb. Due giorni prima che morisse
1) era ancora vivo
2) lo hanno già sostituito con uno che probabilmente è peggio di lui
3) i giornali e i media lo considerano un benefattore perchè sono media della classe dominante
4) gli unici che potrebbero (volendo) provare pietà umana per lui sono i suoi nemici, mentre i suoi capi se ne sono fatti una ragione
5) chi prova astio e gli augura di morire al più presto lo fa perché in cuor suo sa che la società è divisa in classi e le esigenze di quelli come lui sono incompatibili con le nostre
6) dovremmo cercare di capire come trasformare questo odio in linea politica per fare si che ogni morte sia trattata allo stesso modo. Una società senza sfruttati e sfruttatori in cui Sergio Marchionne abbia la stessa importanza di quegli operai che ha contribuito a spremere per poi lasciarli a morire a casa senza neppure un lavoro.
7) Quello dopo di lui, non aspettiamo che si ammali. Leviamolo da li, con chi lo paga e lo protegge e mettiamolo a lavorare con un contratto degno come tutti gli altri. Dopodichè, quando si ammala e muore lo curiamo come tutti in un ospedale pubblico e poi lo consegniamo ai parenti. Che era uno che aveva sbagliato ma poi non ha potuto più farlo e alla fine è morto come purtroppo toccherà a tutti.
8) Alla fine i padroni vanno odiati. Ma non per vederli morire di malattia ma per non farli esistere proprio.