Dopo la manifestazione del 30 novembre. Appuntamenti e analisi

Dopo l’assemblea romana del 9 novembre, il corteo del 30 a Roma e l’assemblea dei promotori del 1 dicembre, la lotta a fianco della resistenza palestinese e contro la guerra non si arresta. In questo lungo articolo proviamo ad inserire le cose che ci sembrano più interessanti dal punto di vista analitico e i prossimi appuntamenti di mobilitazione. In ordine quindi proponiamo:

1) Il documento finale dell’assemblea romana del 1 dicembre con i prossimi passaggi organizzativi

2) Un documento prodotto da Collettivo Genova City Strike e i compagni e le compagne di Rete dei Comunisti Genova sulla fase politica (versione in PDF)

3) Un documento nazionale generale sui temi generali firmato da Rete dei Comunisti, Cambiare Rotta e OSA

4) Il documento del coordinamento nazionale di Potere al Popolo.

Buona Lettura

1) Documento dell’assemblea del 1 dicembre 2024 a Roma (dai promotori dell’assemblea del 9 novembre e del corte del 30 (fonte Contropiano)

Verso una rete nazionale antisionista e anticolonialista per la Palestina. Il comunicato della riunione nazionale del 1 dicembre a Roma

Come “Assemblea 9 Novembre” esprimiamo la più profonda soddisfazione per il corteo del 30 novembre che ha portato in piazza più di 30mila persone in una manifestazione nazionale in sostegno alla Palestina e al Libano.

Abbiamo urlato contro il genocidio, a fianco delle resistenze, contro il sionismo e il pericolo che Israele rappresenta per tutto il mondo. Nonostante le difficoltà si è arrivati, tramite importanti passaggi assembleari, a costruire un grande corteo unitario, capace di rappresentare le diversità ma convergente verso l’obiettivo comune della solidarietà alla Palestina e al Libano e di denuncia del ruolo di Israele e delle complicità e del sostegno dell’imperialismo occidentale, italiano ed europeo, alla sua politica coloniale.

È fondamentale ora strutturarsi a livello nazionale per proseguire nella mobilitazione, moltiplicare le iniziative di lotta e allargare la solidarietà.

Se la manifestazione è stata una grande prova di forza del movimento, la riunione del 1 dicembre, a cui hanno partecipato decine di realtà palestinesi e organizzazioni italiane, è stata uno straordinario passo in avanti verso la costruzione di una rete nazionale antisionista, per la Palestina e per lottare in Italia contro il governo italiano e tutte le istituzioni guerrafondaie occidentali, come la Nato, che sostengono e usano Israele e l’ideologia sionista per garantire il loro controllo nel Medio Oriente e per inasprire il clima di guerra globale.

La riunione, che ha visto la partecipazione di più di 80 tra organizzazioni, associazioni, reti studentesche, sindacati e partiti, ha voluto rilanciare fin da subito la mobilitazione e un percorso concreto per la strutturazione nazionale.

Si sono assunte le campagne di sostegno a Tiziano, arrestato nel corso degli scontri del 5 ottobre, conseguenza del divieto governativo contro la piazza, e la campagna dei giuristi contro Israele e le complicità occidentali che stanno organizzando una importante assemblea pubblica il 12 dicembre a Roma.

Con il mandato di cattura internazionale per il criminale Netanyahu la questione giuridica assume un peso estremamente importante che va trasformata, oltre che in passaggi di approfondimento tecnico, anche in una campagna politica generale.

Dalla riunione sono stati poi indetti due momenti di mobilitazione nazionale specifici, da costruire nei territori con tutte le realtà disponibili:

a) il 20/21 dicembre con azioni di boicottaggio per lo stop al genocidio e contro Israele nei centri commerciali e vie commerciali,

b) il 17/18 gennaio contro fabbriche di armi, basi militari o istituzioni militari per denunciare le complicità occidentali e per denunciare il riarmo e la corsa agli armamenti, voluta e sostenuta dalla Nato e da tutti i governi euro-atlantici.

Sulla base della piattaforma uscita dal 9 novembre e su quella di indizione della manifestazione nazionale si invitano le realtà aderenti a lavorare collettivamente nei territori per costruire le due giornate di iniziativa e far convergere tutte le forze palestinesi, libanesi e italiane disponibili a costruire la rete nazionale in una nuova riunione in presenza da tenersi a Milano o Bologna, la settimana successiva al 18 gennaio per costituire e definire denominazione e piattaforma della stessa.

Nelle prossime settimane saranno organizzate altre riunioni online e territoriali per continuare nel percorso di avvicinamento alle mobilitazioni e agli appuntamenti di strutturazione nazionale.

La riunione ha poi rilanciato tutti gli scioperi e le azioni concrete che sostengono la causa della resistenza arabo palestinese.

Assemblea 9 novembre

 

2) La Palestina. La guerra del capitalismo contro il resto del mondo. E noi. (versione pdf scaricabile)

Appena poche ore prima dei cortei del 30 novembre di Roma e Milano, le milizie jihadiste in Siria hanno occupato la città di Aleppo. Rompendo la fragile tregua del 2020 le truppe islamiste hanno approfittato della situazione internazionale e dell’impreparazione dell’esercito siriano riprendendo le operazioni militari contro il governo Assad. La situazione è apparsa, da subito, molto complicata, le notizie sul campo sono frammentarie e confuse. Il rinnovarsi del conflitto in Siria, dopo la cruenta guerra che ha causato un enorme bagno di sangue in quel paese, e il congelamento delle ostilità a seguito dell’intervento russo (1) rappresenta, con tutta evidenza, l’apertura di un nuovo fronte nello scenario di guerra e di massacri nel Medio Oriente.

Un’area geografica segnata dalla lotta decennale per l’autodeterminazione del popolo palestinese, lotta che ha subito una decisa evoluzione con l’operazione compiuta dalla Resistenza Palestinese il 7 ottobre del 2023.

Riteniamo che una analisi puntuale di ciò che è successo nei 14 mesi che ci separano dal 7 ottobre non sia certo un vezzo intellettualistico, un giochino per esperti di geopolitica o per appassionati di carri armati. Ma è la premessa necessaria e indispensabile per comprendere la posta in gioco e per agire di conseguenza.

Andiamo per punti in modo da essere più chiari.

 

1) L’evoluzione in Palestina e in Libano dal 7 ottobre 2023 a oggi

Dopo 14 mesi di operazioni militari a Gaza e in Cisgiordania l’entità sionista israeliana ha distrutto intere città e regioni. Le operazioni militari hanno causato circa 50 mila vittime (ma potrebbero essere di più secondo alcune fonti imparziali(2)). Non pago del genocidio, il governo e l’esercito israeliano hanno attaccato il territorio libanese, hanno decimato i vertici di Hezbollah, hanno bombardato le basi delle forze di interposizione ONU (la missione UNIFIL).

Israele ha agito in totale spregio alle norme internazionali, che come sappiamo non brillano certo per imparzialità o rispetto per i diritti dei popoli oppressi. La situazione è talmente grave che, ogni tentativo di derubricare ad atti di antisemitismo le critiche ad Israele, pur ripetute in ogni dove non hanno certamente fermato l’indignazione popolare che si è sviluppata a un livello molto diffuso in ogni parte del Mondo.

Nonostante questo, nonostante le mobilitazioni globali, il genocidio continua e la tregua in Libano (siglata pochi giorni fa) sembra essere già saltata.

 

2) La guerra santa per procura

Il rapporto tra le azioni dei gruppi islamisti radicali e l’imperialismo statunitense (di cui Israele e il suo governo sono bastione nell’area) è talmente noto che non varrebbe neppure la pena di perdere tempo a parlarne. Ma qui si tratta di ribadire l’ovvio e quindi proviamo brevemente a esplicitare nuovamente alcuni concetti di base, non teorici o di prospettiva ma semplicemente oggettivi.

L’uso degli islamisti in funzione di puntello dell’aggressione imperialista parte dagli stretti rapporti tra Al Qaeda e gli USA in funzione antisovietica in Afghanistan (3).

È stato riproposto in Libia nel 2011 con l’obiettivo, centrato, di rovesciare il regime di Gheddafi consegnando il Paese alla guerra civile permanente; ed è diventato evidentissimo nel conflitto siriano dove le milizie jihadiste, in una prima fase, hanno oggettivamente sostenuto sul campo gli interessi imperialisti occidentali fiaccando l’Asse della Resistenza tramite la destabilizzazione del regime alawita, salvatosi grazie all’intervento russo del 2015, mentre gli USA, forti di basi militari nel territori curdo-siriani, inizialmente non hanno mosso un dito e hanno continuato ad affermare che il loro nemico principale era il “regime di Assad”.

Qui non si tratta affatto di negare che le armate islamiste rappresentano di fatto un nemico degli Stati Uniti o di Israele ma di tenere fisso un punto di analisi oggettivo vecchio come il Mondo. Nelle guerre, si hanno nemici principali e nemici secondari. Le alleanze sono quindi variabili e il nemico del mio nemico diventa il mio amico anche se poi questa alleanza mi si rivolge contro.

Ma veniamo a oggi. Stupiscono davvero le reazioni di giubilo di Israele nel commentare le azioni e la riconquista di Aleppo, dove l’obiettivo di bloccare il corridoio per le armi a Hezbollah si salda perfettamente con la strategia militare statunitense del caos diffuso? Se esiste una cosa che non si può rimproverare ai sionisti è la capacità di parlare chiaro.

3) Le ragioni di fondo del conflitto in Palestina (e nel Medio Oriente)

La questione Palestinese viene sempre descritta (con tante ragioni evidenti) come una questione con caratteristiche peculiari. L’aggressione militare israeliana ha tutte le caratteristiche che ci sono note: colonialismo di insediamento, apartheid, razzismo, suprematismo, atrocità diffuse. In tal senso la lotta di liberazione che il Popolo Palestinese conduce è una lotta imprescindibile che è stata una costante da almeno 75 anni. Una lotta sacrosanta e incessante per la sopravvivenza e per la dignità di un popolo. Per tanti versi, l’attualità e l’importanza di questa Resistenza può essere considerata anche in funzione indipendente rispetto alle altre situazioni di conflitto e di attrito nel resto del Mondo. Ma, detto questo, è altresì vero che, nelle sue varie fasi, questa lotta sì è innestata su conflitti più ampi. In soldoni la Resistenza Palestinese ha cambiato forme e metodi. Si è trovata schiacciata all’interno delle mutevoli condizioni internazionali. Ha approfittato delle situazioni per rilanciarsi, ha compreso le difficoltà del contesto per ripensare la propria azione. Fino a qui nulla di strano o di inedito nella storia dei popoli da decenni. Ma un destino che è stato condiviso da ogni lotta di Liberazione Nazionale.

Le sue caratteristiche particolari quindi la rendono una questione specifica che però si deve, per ovvi motivi, confrontare con il contesto internazionale.

Che, oltre alle questioni della sopravvivenza, della giustizia umana e del diritto alla terra, non può non avere anche ragioni che attengono al settore dell’economia, dello sfruttamento delle risorse. Su questo rimandiamo a un articolo abbastanza esplicativo, in particolare relativo alla questione delle risorse idriche e di combustibili fossili (4).

Inoltre, la questione, attiene anche alla posizione strategica del Medio Oriente nel sistema mondo. E dalla volontà evidente, da parte dell’imperialismo, di controllare una zona strategicamente imprescindibile per l’approvvigionamento delle risorse e per i traffici commerciali (5).

4) Le connessioni tra la guerra in Ucraina e nel Medio Oriente

Su questo punto possiamo cavarcela con poco. È evidente che esiste una strategia esplicita. Che ha aspetti strategici di fondo e aspetti tattici. Quelli strategici possono essere esemplificati con la volontà USA di controllare l’intera zona direttamente attraverso l’imposizione della “Grande Israele”. Quelli tattici attengono alla necessità di indebolire il fronte della resistenza al progetto sionista colpendo i governi solidali con la causa palestinese e contemporaneamente colpire la Russia attraverso la destabilizzazione dei suoi alleati nella regione (in particolare Siria e Iran). Ovviamente questo rappresenta l’anello di congiunzione tra i molteplici fronti di guerra in Medio Oriente e il conflitto in Ucraina. Conflitto che prepara lo scontro tra l’Occidente e il gigante cinese. In tal senso, la decisione dell’amministrazione Biden di consentire l’uso delle armi a lungo raggio occidentali in profondità nel territorio russo si salda con l’odierna offensiva jihadista che va a colpire Siria e Iran, alleati di Mosca nell’area aprendo la strada a possibili future azioni di Trump a vantaggio di Israele.

5) Noi. La lotta internazionalista e le farse sui social network

Se l’analisi che abbiamo accennato fino a qui è sensata (a noi sembra semplicemente oggettiva) è evidente che la situazione apertasi dal 7 ottobre 2023 è entrata in una fase diversa. Non nel senso di negare la legittimità della Resistenza Palestinese, ma in relazione al fatto che non è possibile slegare questa lotta dal contesto internazionale. Ciò che potremo definire come il contesto di guerra che gli USA e i suoi alleati più o meno subordinati stanno conducendo contro il resto del Mondo. Conflitto che, prende atto della crisi evidente dell’attuale modello di accumulazione capitalista e dell’emergere di una ribellione a tale modello su scala mondiale. Che tale contesto rappresenti un pericolo mortale in quanto prepara nuove guerre fino a fare balenare l’incubo nucleare non ci sembra neppure da discutere. Che tale conflitto abbia delle ricadute anche immediate sulla pelle dei lavoratori e dei subalterni in ogni parte del mondo non è il caso di ricordarlo. Che tale conflitto già da oggi mieta centinaia di migliaia di vittime tra le popolazioni coinvolte è un fatto evidente.

In tutto questo, se si condivide l’analisi fi qui esposta, bisogna decidere da che parte stare. Bisogna decidere se pensiamo a una realtà statica, in cui l’opinione pubblica non può essere intercettata in nessun modo perché inglobata in una realtà immutabile controllata perennemente dalla forze del nemico, dove ciò che vediamo e si prepara si affronta con una battaglia di comunicati (unilaterali) (6) con calunnie, accuse, questioni di metodo, menzogne vere e proprie, oppure se pensiamo che il ruolo dei comunisti e dei rivoluzionari sia quello di agire nella lotta internazionalista cercando di unire sulle proprie parole d’ordine un fronte che deve per forza essere più ampio.

L’alternativa a tutto questo è rinchiudersi in sé stessi, vantarsi di una propria presunta purezza rivoluzionaria, cullarsi in ricostruzioni fantasiose di assemblee o di cortei, non affrontare minimamente le questioni politiche di fondo.

Effettuare una “dura battaglia di classe”, totalmente sganciata dal contesto reale degli avvenimenti reali, condurla sostanzialmente sui social network, trasformarla in una auto rappresentazione di ciò che non si è, è utile forse al proprio ego ma dannosa per chi vive sulla propria pelle gli effetti di una crisi epocale e a chiunque, legittimamente e in base all’analisi di fase, prova a dare un contributo reale alla lotta degli oppressi.

Note:

1) Su tale questione, dobbiamo anche ricordare che si intersecava con la funzione delle forze curde in Siria. Le quali, forti di una alleanza “tattica” con gli USA hanno dapprima cercato di lottare contro il governo siriano, poi hanno cambiato in parte fronte vista l’ambiguità USA. Ovviamente, non si tratta qui di negare le ragioni di fondo del diritto all’autodeterminazione del popolo curdo, ma di mettere in evidenza la complessità del quadro mediorientale

2) The Lancet: i morti in Palestina potrebbero essere oltre 180 mila – Contropiano

3) Afghanistan – 40 anni di devastazione imperialista nel cuore dell’Asia – CityStrike

4) Una analisi più approfondita la trovate qui: Le caratteristiche economiche della questione palestinese – Contropiano

5) Qui ci riferiamo alla paventata costruzione di tratte commerciali che passano per la zona, in particolare alle intenzioni USA di costruire una alternativa alla “Via della Seta” cinese

6) Il riferimento è all’ondata di polemiche legata alla convocazione dell’assemblea del 9 novembre a Roma dove si è deciso di scendere in piazza il 30 novembre. Le polemiche sono continuate fino al giorno stesso della manifestazione. E si sono susseguite anche nei momenti successivi al corteo. Qui non si tratta di negare una diversità di idee politiche ma di considerare prioritaria l’analisi del contesto. E di esplicitare questioni attinenti alla lotta che si combatte e non semplicemente legate ai rapporti tra organizzazioni.

Genova City Strike, Rete dei Comunisti Genova

 

3) Dopo la manifestazione del 30 novembre, nuovi appuntamenti per la Palestina (fonte www.retedeicomunisti.net)

Come Rete dei Comunisti, Cambiare Rotta – Organizzazione giovanile Comunista ed OSA (Opposizione Studentesca d’Alternativa) siamo pienamente soddisfatti sia della riuscita del corteo unitario del 30 Novembre a Roma e a Milano, che della riunione organizzativa degli aderenti all’assemblea del 9 novembre, tenutasi a Roma il 1 dicembre e che si è posta come obiettivo di procedere “verso una rete nazionale antisionista e anticolonialista per la Palestina”.

Queste iniziative sono state due momenti importanti a cui abbiamo dato il nostro contributo sul solco dell’azione, della riflessione e della cooperazione unitaria che portiamo avanti da tempo con altre forze politico-sociali sulla base della chiarezza delle posizioni e della condivisione di obiettivi.

La nostra organizzazione ha nel suo “codice genetico” una impostazione internazionalista che ha da sempre valorizzato la Resistenza Arabo-Palestinese di fronte al cancro sionista.
Abbiamo sempre considerato Israele come un perno della strategia della contro-rivoluzione globale: una funzione che ha ininterrottamente svolto contro i processi di decolonizzazione e la lotta di liberazione dei popoli oppressi dal suo sostegno al colonialismo francese in Algeria fino al supporto al regime di Apartheid in Sud Africa, per citare solo due esempi.

Lo Stato sionista è stato poi all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie e nell’addestramento militare finalizzati al controllo sociale e alla repressione politica negli stessi paesi imperialisti, a cominciare dagli Stati Uniti stessi, come hanno fatto venire alla luce in maniera inequivocabile le due ondate successive del movimento #BlackLivesMatter mostrando le connessioni tra USA e Israele in questo campo.

Una tendenza che viene rafforzata dalla vittoria di Trump alle elezioni presidenziali che ha avuto come propria base di massa le chiese evangeliche messianiche e filo-israeliane, e la benedizione della lobby sioniste. Questa tendenza del sionismo a polarizzare le forze reazionarie più minacciose l’abbiamo vista palesemente in atto il 25 aprile in Italia scorso nelle mobilitazioni anti-fasciste a Milano e in misura maggiore a Roma dove il presidio degli antifascisti è stato attaccato dalle orde sioniste in combutta con l’estrema destra capitolina.

Attualmente, Israele, è uno dei principali perni – insieme ai regimi arabi reazionari – del blocco euro-atlantico nel Medio-Oriente che anela a frenare la crisi del dominio dell’imperialismo, dopo avere perso da tempo le sue capacità egemoniche. Questo ruolo, in quadranti diversi del pianeta, vede protagonisti altri soggetti con la medesima funzione di Stati canaglia : il regime nazista di Kiev nell’Europa Orientale, l’attuale leadership politica sud-coreana, gli “indipendentisti” di Taiwan od i conservatori nipponici, interessati ad assecondare le politiche belliciste occidentali e l’avventurismo guerrafondaio delle sue classi dirigenti costi quel che costi.
Tutto questo per mantenere una rendita di posizione e cercare di impedire la configurazione di un assetto multipolare e policentrico nelle relazioni internazionali.

É sotto gli occhi di tutti che Israele è diventato il maggior vettore di guerra in “Medio-Oriente” e che combatte su 7 differenti fronti, ed è assolutamente incurante nei confronti di qualsiasi anche timido indirizzo politico dei propri alleati che ne mini la sua autonomia nel perseguimento dei propri obiettivi: la costituzione di una “Grande Israele” (Eretz Israel) dal Fiume al Mare con un’ampia zona cuscinetto.
In questa prospettiva i Paesi vicini dovrebbero essere a lei subordinati, pena il subire in forme diverse la costante pressione militare ed i tentativi continui di destabilizzazione/balcanizzazione, spesso in combutta con le forze più retrive o maggiorenti filo-occidentali del quadrante.

Di fronte a questo la complicità dell’attuale governo Meloni sviluppa i presupposti politici contenuti nella partnership strategica con Israele a cui si sono attenuti tutti i governi che si sono succeduti da un ventennio a questa parte – compresi quelli di centro-sinistra – e che hanno implementato anziché recidere le relazioni con Tel Aviv su ogni piano: militare, politico, economico e culturale.
Hanno promosso la “normalizzazione” con lo stato di Israele che è un regime colonialista, segregazionista, intrinsecamente bellicista nonché genocidario.

Pensiamo sia compito di tutti gli internazionalisti, i progressisti ed i sinceri democratici rompere questa complicità, per farlo bisogna sensibilizzare le più ampie porzioni delle classi subalterne denunciando l’attuale ruolo di Israele.
É necessario supportare tutto questo con azioni concrete per fare uscire il nostro paese dalla spirale bellica in cui lo sta trascinando un trasversale neo-atlantismo filo-israeliano che accomuna tutte le forze politiche parlamentari.

Pensiamo che le mobilitazioni di massa, le iniziative di boicottaggio e le azioni di agitazione politica siano più che mai necessarie e urgenti.

Altresì pensiamo sia importante denunciare la “militarizzazione” sul fronte interno delle relazioni sociali contro un’azione di governo che coniuga l’austerity e l’autoritarismo nei confronti di chi si oppone ai suoi piani di creazione di una “economia di guerra”.
La costruzione di questa economia di guerra la stanno pagando, infatti, le classi popolari con la desertificazione del welfare decisa dall’Unione Europea e lo svuotamento delle garanzie politico-sindacali conquistate nel corso dello scorso secolo a prezzo di lotte durissime.

Continueremo ad impegnarci a fondo insieme al più largo spettro di forze possibili in sostegno alle iniziative che vanno in questa direzione, in particolare quelle decise nella riunione del 1 dicembre a Roma – rafforzando questo percorso – e lo sciopero “generale e generalizzato” dell’USB il 13 dicembre contro l’economia di guerra che Meloni e soci vorrebbero imporre.

I comunisti e le comuniste, nel nostro Paese, sono sempre stati (e continuano ad essere) dalla parte dei popoli oppressi i cui successi hanno costruito l’indispensabile retroterra per l’avanzamento delle istanze di trasformazione politico-sociale portate avanti dal movimento operaio e comunista.

Rete dei Comunisti / Cambiare Rotta / OSA
2 dicembre 2024

4) Testo coordinamento nazione Potere al Popolo (fonte sito nazionale PAP)

Il 30 novembre eravamo in 25 mila in piazza contro il genocidio

La manifestazione per la Palestina del 30 novembre è stata un importante risultato a cui siamo fieri di aver dato il nostro contributo. Non era scontato: siamo talmente bombardati dalla propaganda filoisraeliana e da un’assenza di risposte efficaci da parte della politica italiana e della comunità internazionale, da rischiare di restare assuefatti da una violenza che sembra non avere freni e limiti.

Fateci caso: i principali giornali continuano a fare da scorta mediatica al genocidio, tanto che è stato difficile trovare un articolo equilibrato sul corteo, che ne raccontasse le ragioni, la varietà della partecipazione e le parole d’ordine. Leggendo tanto Repubblica quanto Libero, sembra che sabato scorso Roma sia stata invasa dagli Unni di Attila. E invece non è andata così: in 25mila abbiamo attraversato la Capitale, in un corteo che ha messo insieme le rappresentanze palestinesi e libanesi con partiti, sindacati e associazioni, unite su una scelta di campo: quella a sostegno della Resistenza Palestinese e contro il genocidio e l’occupazione israeliana. La manifestazione è stata rivolta anche contro tutti i complici occidentali del regime colonialista e genocida israeliano: gli USA, la NATO, la UE, l’establishment politico e la stampa occidentale, tutti colpevoli di armare e giustificare il genocidio in Palestina. Abbiamo puntato il dito contro il Governo Meloni e la finta opposizione parlamentare, perché persino in presenza di una condanna della Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu per crimini contro l’umanità, l’Italia continua a fornire copertura diplomatica a Israele, a commerciarci, a collaborare con università direttamente implicate nell’occupazione e nella produzione bellica israeliana, e soprattutto a vendere armi a un esercito occupante e genocida, come ormai diversi report indipendenti testimoniano. La lotta di solidarietà con il popolo palestinese è uno spartiacque, perché mette in discussione un intero ordine internazionale basato sul colonialismo e sugli interessi dei blocchi militare-finanziario-industriali, ponendo al centro l’interesse dei popoli. Non è un caso che la mobilitazione che si è sviluppata nell’ultimo anno sia stata anche una mobilitazione contro la guerra, contro il trasferimento dei soldi pubblici dal welfare alle spese militari, ovvero nelle tasche degli azionisti dell’industria bellica, voluto tanto dalla maggioranza quanto dal centrosinistra in ossequi ai diktat dell’alleato USA. E non è un caso che sia stata anche una mobilitazione a difesa della democrazia nel nostro paese, sempre più irreggimentato tanto a livello dell’informazione, tanto nella possibilità di praticare il diritto allo sciopero e al dissenso, vedi il pericoloso strumento del ddl 1660 in via di approvazione. Uno degli obiettivi raggiunti dal corteo è stato infatti quello di istituire uno spazio nazionale di coordinamento per tutte le realtà organizzate che nell’ultimo anno si sono mobilitate a sostegno della Palestina, in vista di un allargamento delle azioni di boicottaggio verso Israele e di una denuncia della corsa al riarmo in atto. Dalle comunità palestinesi e libanesi, agli studenti che hanno occupato gli atenei contro il genocidio, ai portuali che hanno denunciato il passaggio di armamenti israeliani dai porti italiani, alle varie realtà territoriali che hanno dato vita a migliaia di manifestazioni.

La grande partecipazione di giovani ha confermato che la causa palestinese è oggi il primo motivo di lotta e mobilitazione nel mondo, una scelta di campo e una discriminante politica e morale che impone di prendere posizione.  Noi di Potere al Popolo abbiamo sempre scelto di stare dal lato della Resistenza Palestinese in tutte le sue forme, respingendo ogni equidistanza tra la ferocia genocida del regime sionista e il diritto dei palestinesi oppressi a ribellarsi e combattere. Per noi antisionismo e antifascismo stanno assieme e questo è il discrimine, chi lo condivide sta dalla stessa parte. Per questo ci siamo battuti perché il 30 ci fosse una sola manifestazione, ed è nostro dovere operare perché nel nostro paese ci sia il fronte più vasto ed efficace a fianco della Resistenza Palestinese, in tutte le sue forme. Tutte le e tutti i palestinesi, con il loro peso di lotta e dolore, sono nostre sorelle e fratelli. Tutte le nostre iniziative sono e saranno sempre a fianco di ogni azione e mobilitazione per la Palestina, in totale solidarietà con chi subisce per questo violenza e repressio ne. Questo abbiamo sempre praticato, questo abbiamo fatto il 5 e il 12 ottobre, il 30 novembre, questo continueremo a fare in ogni piazza, lotta, boicottaggio, senza distinzioni, senza divisioni tra buoni e cattivi. Continuiamo a batterci e a mobilitarci. La Palestina prima di tutto.

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