Continuiamo la pubblicazione a puntate del corso di formazione su “Capitale e Lavoro salariato”. Dopo i vari capitoli (Filosofia e metodo, fondamenti della teoria del valore, accumulazione del capitale, crisi del capitale) trattiamo un primo percorso relativo a sviluppo e sottosviluppo. Come al solito il corso è formato da slide interattive (cliccando sui pulsanti della presentazione scorrono le diapositive) e da un testo di accompagnamento. Come al solito, il modo per seguire il corso è leggere il testo e seguire le slide. Ovviamente, contattandoci a citystrike@inventati.org, si può chiedere la disponibiltà per affrontare il corso con una presentazione dei temi in presenza oppure on line. Come per tutto il corso di formazione, la pubblicazione e condivisione dei materiali è libera, in qualsiasi forma.
In questo percorso di approfondimento, tratteremo delle origini del mdpc, che per Marx vengono ricondotte alla accumulazione originaria. In realtà il percorso storico che passa dall’economia primitiva al capitalismo, passando per l’economia mercantile è determinabile secondo le regole del materialismo storico. All’interno delle società caratterizzate da vecchi modi di produzione si creano contraddizioni che portano allo sviluppo di nuovi modi produttivi. Ogni nuova sintesi crea una cosiddetta antitesi il cui scontro determina una successiva sintesi. In altri termini, l’accumulo di contraddizioni evolve ad un certo punto in un salto qualitativo (la quantità si trasforma in quantità) che determina accelerazioni (l’accumulazione originaria in Inghilterra ne è l’esempio fondamentale). In generale occorre comunque ricordare che il passaggio dalle economie primitive al capitalismo, con i stadi intermedi, per Marx rappresenta un elemento di progresso causando la possibilità (che deriva da necessità) di produrre nuove merci in maggiore quantità e in migliore qualità. La nuova fase produttiva non elimina comunque le contraddizioni e quindi prefigura il salto verso una nuova era produttiva, di cui una sintesi da raggiungere è l’economia socialista.
Il percorso si snoda quindi partendo dall’analisi dall’accumulazione originaria descritta da Marx con l’analisi dei cambi di ruolo nella società e la comparsa del binomio capitalisti e salariati fino all’accumulazione perenne teorizzata, tra gli altri da Harvey. Analizzeremo quindi i motivi e le teorie che spiegano, da punti di vista opposti, le divergenze di sviluppo tra aree geografiche.
Per ultimo affrontiamo il nodo del sottosviluppo, in particolare utilizzando gli schemi dei teorici del sistema mondo (Frank, Amin e altri). Il percorso si chiude su un approfondimento relativo ai rapporti tra struttura e sovrastruttura all’interno dei vari gradi di sviluppo del capitalismo, allo scopo di evidenziare alcuni elementi di analisi importanti per lo sviluppo di una reale teoria rivoluzionaria.
Sezione 1) Accumulazione originaria
L’elemento fondamentale che caratterizza lo sviluppo del mdpc è la separazione del lavoratore dai mezzi di produzione. Se, come era regola generale nelle economie precedenti, l’economia è in prevalenza di tipo primario, ciò significa innanzitutto esproprio della terra, ma successivamente esproprio dei mezzi con cui la terra si lavora. Ciò rende facile, almeno in partenza, una analisi che si basi esclusivamente su questo. Se la terra è proprietà comune e non proprietà privata, il capitalismo in uno stato non è un sistema totalmente dominante. Marx analizza questo soprattutto avendo come riferimento l’Inghilterra della rivoluzione industriale. Definisce quindi accumulazione originaria un insieme di norme che sanciscono l’avvio prepotente di un nuovo modo di produzione in quella zona geografica dove il capitalismo è nato.
In Inghilterra avviene quindi che si hanno varie azioni concomitanti, favorite da un contesto particolarmente favorevole:
1) privatizzazione della terra attraverso l’espropriazione dei piccoli contadini, il furto di terre agli aristocratici e al clero, il processo di enclosures sulla terra comune
2) requisizione dei mezzi di produzione della terra attraverso la ridefinizione dei concetti di proprietà riuscendo a riutilizzare i mezzi lasciati da contadini e clan rurali in fuga
3) leggi contro il vagabondaggio utili ad obbligare gli espropriati ad accettare un lavoro salariato
4) creazione di un mercato interno florido che si sviluppa in una condizione in cui diventa difficile produrre i propri mezzi di sussistenza
5) trasformazione del denaro accumulato attraverso usura e commerci nelle epoche precedenti in capitale industriale attraverso la distruzione dell’ordine feudale.
Ovviamente tutto ciò consente l’avvio del sistema industriale se, oltre a capitale iniziale, mezzi di produzione e salariati sono disponibili le materie prime. Nel caso inglese, il carbone per fornire l’energia si trova direttamente in loco, il cotone per i filati si ricava dalle colonie in America, altre materie prime arrivano dalle colonie.
All’interno dello sviluppo del sistema industriale, si assiste al cambio dei ruoli. In generale, il contadino o il piccolo artigiano diventano lavoratori salariati e il mercante diviene capitalista. Questo processo però non è lineare. All’interno del sistema mercantile, come abbiamo visto nella parte generale, il mercante può interrompere la circolazione, può accumulare denaro. Ciò significa che, anche in assenza di capitalismo e con il mantenimento dei mezzi di produzione ai lavoratori, il ruolo del mercante è un ruolo dirimente, potendo disporre della capacità di organizzare un surplus produttivo, allargando il commercio, determinando le caratteristiche della produzione imposte ai lavoratori, organizzando gli scambi in funzione dell’accrescimento monetario. In tal senso, l’accumulazione originaria è un processo che avviene trasformando la quantità in qualità e non come un salto repentino. Il capitalismo quindi non si impone per decreto ma è l’evoluzione del sistema mercantile, l’accumulazione originaria è il salto qualitativo dopo l’accumulo di contraddizioni quantitative precedenti.
Nella definizione di accumulazione originaria è quindi evidente fin da subito che non si tratta di un salto che avvia una nuova era ma di creazione di una sovrastruttura politica, giuridica e culturale che si adatta a una variazione nella struttura economica. In tal senso, la critica di David Harvey al concetto di accumulazione originaria è positiva ma in realtà forzata. Positiva nel senso che introduce nel dibattito il fatto che l’accumulazione è da considerarsi perenne, forzata in quanto non si basa su un errore teorico ma è diretta conseguenza del pensiero di Marx. Secondo Harvey, l’accumulazione diviene, a un determinato grado di viluppo, per spoliazione.
L’azione sui parametri della legge del valore (le azioni sul capitale costante, sul capitale variabile e sul plusvalore), si uniscono alla continua accumulazione non solo nel tempo ma anche nello spazio.
Tale processo si riproduce continuamente e assume nuove forme diverse dallo sfruttamento colonialista di tipo classico. In un capitalismo dove il capitale costante è legato alla conoscenza assume il carattere della privatizzazione dei brevetti. In un sistema legato alla conquista delle materie prime si sostanzia in Stati che agiscono sottraendo al bene pubblico l’acqua, le foreste, i beni del suolo vendendole ai privati. Nel settore primario si sostanzia nello sviluppo delle monocolture, nello sviluppo degli OGM che impediscono agli agricoltori di possedere loro materie prime. Nella conquista di spazi di accumulazione del capitale nei centri urbani sottoposti a un processo di espulsione del proletariato nelle periferie lasciando spazio alla speculazione abitativa e finanziaria.
Sezione 2) La grande divergenza
A questo punto, occorre indagare sulla divergenza economica tra aree geografiche che si sviluppa al momento dell’avvio del capitalismo. Su questo si scontrano le teorie classiche e quelle derivanti dal marxismo. In termini generali, il ricorso a superiorità culturali e religiose (se non addirittura razziali) è caratteristica delle analisi classiche. Nell’analisi marxista ci si concentra sulla facilità di accesso alle materie prime, sul ruolo dello sfruttamento coloniale. L’analisi è importante in quanto la situazione di sottosviluppo che osserviamo nell’età moderna non è un dato del passato. Nell’era precapitalista, la Cina (per fare un esempio lampante) aveva livelli di sviluppo molto alti legati soprattutto alla facilità di comunicazione interna, ad un uso intensivo della forza lavoro, liberalizzazione del commercio interno. Eppure, in quel paese si presenteranno fortissime condizioni di sottosviluppo che permarranno almeno fino agli anni 70 del novecento. In generale quindi, la potenza coloniale degli Stati Europei (la culla del capitalismo) appare come l’unica fonte per spiegare materialmente come è avvenuta la creazione originaria di aree di sviluppo e e sottosviluppo.
Paragrafo: “Gli stadi dello sviluppo”
La teoria classica si concentra su fattori principalmente di tipo culturale o religioso che rappresenterebbero dei fattori in grado di limitare o rendere impossibili gli sviluppi progressivi del modo di produzione capitalista. In tal senso, l’elemento cruciale è l’uso della tecnologia. Uso che consente l’avvio di un sistema virtuoso in cui la ricerca scientifica mette a disposizione sempre nuovi macchinari il cui uso permette il raggiungimento delle risorse economiche per ulteriori ammodernamenti nella ricerca e nella costruzione di nuove macchine la cui realizzazione dipende dalle esperienze accumulate in precedenza. Laddove la sovrastruttura arcaica non consente la modernizzazione, l’intervento esterno è la chiave per lo sviluppo di aree precedentemente sottosviluppate. In questa teoria, dove hanno fatto spesso da padrone, pregiudizi di tipo razziale, la presenza di aree sottosviluppate viene considerato un problema: attraverso il vincolo esterno e la penetrazione economia, culturale e politica, lo sviluppo risulterebbe più equilibrato e si risolverebbero i problemi del pianeta. Si tratta di una versione illuminata dei concetti del colonialismo e dell’imperialismo. Non a caso, queste teorie di sviluppo vennero concepite negli anni della guerra fredda in relazione alla necessità di combattere la tendenza alla decolonizzazione e all’effettivo ruolo guida che il mondo socialista aveva in sostegno ai movimenti di liberazione.
Rimaniamo un secondo sulla teoria capitalista nella lotta al sottosviluppo. Il processo di sviluppo viene qui concepito come un processo con abbattimento di barriere, da superare con un intervento esterno che fornisca capitale e tecnologia e che sia in grado di superare i limiti culturali, religiosi e politici. L’uscita dalla condizione di sottosviluppo è quindi possibile attraverso l’imitazione del modello occidentale. Gli stadi ipotizzati sono i seguenti:
1) Lo sviluppo agricolo basato sulla sussistenza e su un numero limitato di scambi, In questo stadio l’economia sarebbe quella mercantile secondo la definizione di Marx ma nel pensiero neoclassico assomiglia alla riproduzione semplice del capitalismo
2) un secondo stadio in cui l’aumento della tecnologia produttiva libera braccia per l’industria. In questo secondo stadio, le contraddizioni che bloccano lo sviluppo sono da considerarsi di natura religiosa e culturale. Il processo è messo in moto dalla tecnologia, dal miglioramento dei commerci, dallo sviluppo degli strumenti finanziari in grado di spingere gli aggiustamenti tecnologici
3) avviene qui il salto, spinto dalla tecnologia, verso un sistema capitalista compiuto che si avvicina a ciò che è necessario per le condizioni di sviluppo
4 e 5) gli ultimi due stadi sono quelli della maturità dove si consolida la società dei consumi e si allarga il benessere. Secondo tale teoria, la tecnologia è il fattore determinante per lo sviluppo. Le carenze culturali che possono bloccare il processo richiedono un intervento dall’esterno sotto forma di aiuti soprattutto in capitale.
Si tratta ovviamente di una teoria coerente dove tuttavia emergono alcune questioni non accettabili per i marxisti
a) Non vi è traccia dell’effetto della lotta fra le classi, è preclusa ogni forma di sviluppo che non preveda le virtù salvifiche del libero mercato
b) La condizione di sottosviluppo viene considerata un elemento di debolezza dell’intero sistema. Il capitalismo si erge qui a religione illuminata del pianeta. I poveri e gli affamati appaiono un problema da risolvere. Ma è veramente così?
Paragrafo “La teoria della dipendenza”
La teoria della dipendenza e del sottosviluppo è, per certi versi, una teoria opposta a quella dello sviluppo per imitazione proposto dagli economisti neoclassici. Secondo questa teoria lo sviluppo e il sottosviluppo sono due facce della stessa medaglia. E’ proprio l’origine dello sviluppo capitalista a determinare il sottosviluppo di varie aree del pianeta attraverso il meccanismo della rapina di materie prime, l’importazione degli schiavi, la sottomissione economica e finanziaria, l’importazione di forza lavoro a basso costo attraverso le migrazioni imposte, la penetrazione economica attraverso l’internazionalizzazione della produzione sotto comando del capitale. In questo senso non è possibile immaginare uno sviluppo per aiuti o imitazione in quanto la presenza di zone del mondo dove scaricare i problemi intrinseci dell’accumulazione, ricavare materie prime a basso costo, aprire nuovi mercati per le merci in sovrapproduzione è esattamente il modo con il quale il capitalismo rilancia la propria sete di accumulazione e risponde alle proprie crisi. Su questo rimandiamo al capitolo 4 sulla crisi del capitale e al capitolo 3 sull’accumulazione.
Ovviamente, la teoria della dipendenza rimette in campo, soprattutto a partire dalle teorie marxiste rivoluzionarie in Sud e Centro America del novecento. Se ha effettivamente grandi meriti teorici ha però un difetto: l’alternativa secca tra sottosviluppo o rivoluzione proponendo come unica via di uscita dal sottosviluppo lo sganciamento dal sistema capitalista.
Il fatto di porre l’accento sulla specifica dinamica sviluppo-sottosviluppo in una relazione tra Stati e aree geografiche, non ha comunque impedito ai teorici della dipendenza di studiare anche la differenza specifica tra le classi anche all’interno dei paesi sottosviluppati. Le particolari forme di governo devono infatti essere considerate come una necessaria sovrastruttura politica e culturale di un sistema che vive in determinate condizioni di sviluppo. Ad esempio in America Latina, il latifondo, la presenza di una borghesia mercantile che vive sui lussi, la penetrazione del capitale straniero sotto forma di multinazionali i cui profitti rientrano nel centro capitalista, la presenza di una elite politica corrotta ai diretti ordini del centro imperialista, sono quindi le caratteristiche specifiche dello sviluppo economico di uno Stato e della sua posizione all’interno delle catene internazionali di creazione del valore.
La teoria dello sganciamento dal capitalismo presenta però quindi problemi teorici. Da un lato non spiega come alcuni paesi, ad esempio Corea del Sud, Taiwan, Cina e altri, pur partendo da condizioni di sottosviluppo si siano effettivamente sviluppati. Dall’altro, impedisce di concepire il ruolo della lotta di classe all’interno del destino di un popolo, se non attraverso un intervento di azzeramento rivoluzionario.
In questo senso, occorre riprendere alcune categorie che possano completare l’analisi. Relative alla compresenza, almeno in alcune aree arretrate del globo di strutture di tipo mercantile all’interno del sistema capitalista. Definendo bene cosa si intende per struttura produttiva e comando della struttura produttiva. Capendo come la relazione centro periferia all’interno di una singola area geografica ricalchi, in qualche modo, una struttura di dipendenza tra aree geografiche distinte. Ma andiamo per gradi.
Nel passaggio tra l’economia mercantile e il modo di produzione capitalista, convivono vecchie strutture in aggiornamento e nuove strutture di sistema. Il sistema mercantile con la permanenza formale della proprietà dei mezzi di produzione ai lavoratori può convivere in un modello capitalista come specifica forma di produzione (nella Russia zarista, il sistema mercantile determinava in gran parte il destino della produzione, per altro in un sistema in cui formalmente i mezzi di produzione non erano stati espropriati, nei sistemi a capitalismo maturo convivono tuttora settori produttivi non espropriati come ad esempio le cooperative, Ciò non significa affatto che all’interno di tali strutture, anomale rispetto ai normali diritti di proprietà dei capitalisti, le condizioni di lavoro e sociali dei lavoratori siano migliori). La borghesia capitalista tende ovviamente a trasformare completamente il sistema di produzione in senso compiutamente capitalista ma le vecchie strutture mercantili possono sopravvivere in quanto forme arretrate che comunque recepiscono il dominio di classe. La dialettica tra sistema capitalista e forme di produzione non pienamente capitaliste dipende in gran parte dalla capacità politica della borghesia nell’instaurare il dominio di classe nella sovrastruttura politica. La lotta per impedirlo è fondamentale tassello della lotta di classe.
In altri termini, possiamo definire un modello di produzione capitalista come un sistema pienamente capitalista, in cui le forme di produzione arcaiche sono state definitivamente sconfitte, in cui il sistema politico è pienamente diventato rappresentazione completa di un tale modello. La sovrastruttura è quindi un sistema di leggi, regolamenti che agiscono solo ed esclusivamente a vantaggio dell’accumulazione. All’interno di un sistema inserito in modello di relazioni internazionali capitalista, laddove il dominio non è incontrastato, possono invece convivere forme intermedie di produzione capitaliste in cui prevale ad esempio la proprietà dei mezzi di produzione ai lavoratori. Si tratta di una forma che assume il comando capitalista che prevede ad una accumulazione di tipo mercantile (si direbbe oggi di centralizzazione dei capitali) per garantire l’accumulazione di denaro e quindi di potere al mercante in procinto di trasformarsi in capitalista. Manca invece la completezza del processo relativa alla totale espropriazione dei mezzi di produzione del lavoratore, costruendo quindi la concentrazione capitalista del processo produttivo. In tal caso la trasformazione di un tale modello in un modello pienamente capitalista non è che una delle possibilità. Sul procedere dello sviluppo può intervenire quindi la lotta di classe.
Pur avendo quindi compreso che il modello di relazioni internazionali basato sul capitalismo è l’elemento fondamentale per comprendere le relazioni tra sviluppo e sottosviluppo, la teoria della dipendenza ha quindi un problema teorico che arriva al paradosso di considerare sostanzialmente impossibile l’effetto della lotta di classe nel determinare il tipo di sviluppo. Il principio determinista che sta alla base della teoria dello sviluppo capitalista come unica soluzione al sottosviluppo, viene ribaltato ribadendo come unica possibilità di sviluppo lo sganciamento dal capitalismo. Negando la centralità della lotta di classe come motore di sviluppo. In un qualsiasi modello che assume la forma capitalista permangono forme di produzione diverse in evoluzione. Permangono anche strati diversi nella gerarchia propriamente capitalista (gruppi e aziende a diverso grado di integrazione internazionale e a diverso grado di centralizzazione). La relazione centro-periferia si ripercuote quindi anche all’interno del centro capitalista. La lotta di classe quindi può sempre contribuire a determinare lo sviluppo. Sia come lotta all’interno di un sistema governato dalla borghesia sia come lotta all’interno del sistema capitalista laddove la classe operaia e un governo rivoluzionario è in grado di interagire forzando a suo piacimento lo sviluppo del capitalismo pianificando la produzione, controllando i capitali, promuovendo azioni di sviluppo internazionali per uno sviluppo più equilibrato.
Nel sottosviluppo convivono quindi spesso vari modi di produzione a diverso modello di sviluppo. La relazione tra struttura economica e sovrastruttura dipende quindi anche dal diverso livello di presenza dei vari stadi presenti e del loro peso specifico. La struttura non democratica (nel senso occidentale del termine) in tali situazioni non è quindi una sorpresa.
In generale, per la teoria marxista, la sovrastruttura è l’elemento che garantisce dal punto di vista delle leggi, dei regolamenti, degli aspetti costituzionali lo sviluppo della struttura economica. In un diverso modo di produrre, la sovrastruttura assume caratteri completamente diversi. In un sistema governato dal modo di produzione capitalista la sovrastruttura è forgiata dagli interessi del capitale. Non è per questo, esclusivamente reazionaria. Al suo interno può infatti prevedere norme e regolamenti di tipo progressista laddove questi non vadano ad intralciare il dominio del capitale. In uno Stato la sovrastruttura si adegua ai cambiamenti necessari al capitale. In una fase di ristrutturazione profonda in cui il capitale entra in una fase di cambiamento strutturale le condizioni democratiche evolvono per garantire la frazione di capitale vincente.
In generale il sistema di produzione capitalista è tipico di una sovrastruttura formalmente democratica. Il lavoratore in quanto tale è chiamato a vendere volontariamente la propria forza lavoro. All’interno del proprio involucro nazionale esso è un uomo libero, gode di garanzie costituzionali, gode dei diritti necessari alla propria riproduzione. In un sistema di tipo mercantile, l’espropriazione avviene da parte del mercante. Il lavoratore quindi è costretto ad accettarne i diritti quasi esclusivi. Il feudalismo e il dominio signorile e mercantile sono quindi caratteristici di quella sovrastruttura. Che feudalismo o dominio signorile siano declinati con termini diversi quali dittatori, guardiani della teologia, élite corrotte in mano al latifondo o ai signori della guerra poco cambia. Rimane il fatto che tale sovrastruttura debba essere superata per instaurare il maturo dominio del capitale in mano alla borghesia ma possa anche fornire lo spazio ai lavoratori per far prevalere un diverso modo di produrre e vivere.