Recensione di Sergio Dalmasso
Punto rosso pubblica meritoriamente nove saggi scritti da Gyorgy Lukacs in un ampio arco di anni, che va dal 1932, alle soglie dell’avvento del nazismo, al 1970, poco prima della morte.
Nella introduzione, Infranca sottolinea come testi così lontani nel tempo ed anche così differenti nella tematica, siano accomunati dal costante rapporto/contrapposizione tra dialettica e irrazionalismo che, nella drammaticità degli anni ’30, da tema teorico, diviene tema espressamente politico ed etico.
Nel primo saggio, su Goethe e la dialettica, l’autore lo colloca come pensatore dialettico, che introduce il pensiero progressista e rivoluzionario di Hegel e Marx e contribuisce a rovesciare la società feudale, ancora esistente in Germania.
Il secondo, Attualità e fuga, è centrato sulla questione dell’irrazionalismo che nasce dall’estraneazione sociale propria dell’incapacità della società capitalistica di rispondere ai bisogni ed alle aspettative. Il capitalismo non sa dare un senso all’esistenza (torna il nucleo di Storia e coscienza di classe) ed elabora miti che aggregano le masse (il nazismo ne è prova), condizionando anche l’intellettualità per produrre consenso e distrazione sociale.
Sul prussianesimo (1943) cerca il rapporto fra il nazismo e il passato, il prussianesimo che ha condotto la Germania dalla lotta contro Napoleone all’unità nazionale. La sconfitta della rivoluzione del 1848 segna la fine di ogni possibilità di trasformazione borghese illuminata, anzi la borghesia si è adattata alla macchina burocratica dello Stato, ad un incompiuto stato sociale (iniziatore Bismark). In contrapposizione all’etica formale dell’onore e dell’obbedienza, Lukacs porta esempi di società libere e rivoluzionarie, dalla Francia del 1789 alla Spagna antifranchista. Infranca nota come, dietro alla critica alla burocratizzazione della Germania guglielmina, Lukacs critichi l’involuzione sovietica e la subordinazione dell’individuo agli apparati di partito (nel 1941, in URSS, era addirittura stato arrestato e aveva rischiato la deportazione in un gulag).
Il delirio razzista (1944) lo vede come portato del fascismo, ma anche della democrazia occidentale. Se l’evoluzione dei diritti umani sembra una continua progressione, il nazismo ne è la negazione totale e produce regressione, non solamente, ma soprattutto per la sua teoria razziale.
La svolta del destino (1944) nasce dalla prima scoperta di un campo di sterminio, fatto che permette di comprendere sino in fondo la barbarie nazista e la subordinazione della tecnica al militarismo, alla volontà di potenza, prosecuzione “tecnoloigizzata” del militarismo guglielmino.
Il primo saggio del dopoguerra, Perché la borghesia ha bisogno della disperazione (1948) sembra superare il dramma del conflitto e tornare all’analisi della cultura borghese, tema centrale nella produzione lukacsiana. Se l’idealismo è lo strumento per occultare le contraddizioni della società capitalistica, gli intellettuali sono combattuti tra il socialismo e le filosofie della crisi (Nietzsche, l’esistenzialismo…) in cui sempre prevalgono tensioni nichiliste. Nota Infranca come i giudizi dell’autore rischino di isolarlo e dai pensatori marxisti dogmatici cui mostra le contraddizioni rispetto ad una “esatta” interpretazione di Marx e da quelli lontani dal marxismo a cui indica criticamente le contraddizioni della realtà sociale. Nella continua attenzione alla grande tradizione borghese e nella esaltazione della democrazia come valore della vita quotidiana (il tema sarà il centro della Ontologia), ancora una volta, lo stalinismo si colloca come avverso al razionalismo (un tipo di distruzione della ragione).
La polemica con Heidegger è netta, come dimostra Heidegger redivivus. Più della accusa di connivenza con il nazismo, pesa su di lui la colpa di avere creato un clima culturale al nazismo favorevole. Molti elementi della sua filosofia spiegano le sue scelte politiche.
E’ di grandissimo interesse la conferenza I nuovi problemi della ricerca hegeliana, tenuta nel 1949 davanti alla scuola francese di studiosi hegeliani. La conferenza riprende molte tematiche de Il giovane Hegel (1948), pensato già negli anni ’30 e si intreccia con questioni affrontate nel fondamentale La distruzione della ragione. Davanti ad interpretazioni che privilegiano un Hegel filosofo della restaurazione e precursore del totalitarismo, Lukacs lo legge, invece, come precursore della critica dell’economia politica di Marx. Il giovane Hegel è figlio della rivoluzione francese e ne esprime la tensione, salvo, poi, a modificarla, dopo il Termidoro. L’idealismo hegeliano è oggettivo, diverso da quello soggettivo di Fichte e Schelling. Hegel è il punto culminante della filosofia borghese che poi arretrerà, nell’epoca dell’imperialismo sino al pensiero negativo di Nietzsche e di Heidegger (dal razionalismo all’irrazionalismo).
Anche l’ultimo testo è frutto di una conferenza, tenuta nell’agosto 1970, al momento del ricevimento del premio Goethe. Goethe rappresenta una delle tappe del processo di umanizzazione dell’umanità, è un pensatore dialettico. La lettura dei Manoscritti economico- filosofici del 1844 di Marx permette a Lukacs di interpretare la dialettica marxiana vedendo in Goethe e in Hegel le tappe del processo di analisi della società borghese.
Il curatore legge questi testi, nella loro interezza, nonostante lo spazio di quarant’anni, come strumenti di opposizione all’irrazionalismo, proprio della società capitalistica avanzata e al nichilismo più estremo:
Non c’è dubbio che siamo dentro un’epoca senza prospettiva e questi saggi di Lukacs possono essere almeno dei documenti storici di un’epoca analoga di disperazione, di appena settanta anni fa (p. 23).
La riproposizione della dialettica e la sua messa in valore significa, quindi, la condanna dell’irrazionalismo, del pensiero di Nietzsche e di Heidegger ed assume valenza non solamente filosofica, ma politica.
Sergio Dalmasso
Gyorgy Lukacs, Dialettica e irrazionalismo. Saggi 1932- 1970, Milano, ed. Punto rosso, 2020, a cura di Tonino Infranca.