Nella giornata di domenica 29 novembre 2020, una torre faro è crollata nello stabilimento Arcelor Mittal di Cornigliano. Non ci sono stati morti e feriti per puro caso, visto che il crollo è avvenuto durante il cambio di turno. I sindacati, Fiom-Cgil in testa, chiedevano da anni la manutenzione del materiale, presumibilmente in stato di forte ossidazione.
Secondo la Fiom, il fatto che l’incidente capiti a ridosso della nascita di una società paritetica tra Invitalia (agenzia pubblica statale) e Arcelor Mittal è significativo del livello di chiacchiere con cui impresa e governo gestiscono la questione dell’acciaio, con le difficoltà di Taranto e le ricadute sugli altri stabilimenti del gruppo. Chiacchiere che a oggi la fanno da padrone essendo la situazione molto più grave rispetto a quando la multinazionale franco indiana ha acquisito il pacchetto di maggioranza dell’ex ILVA.
Secondo le anticipazioni, l’accordo tra il Governo e Arcelor Mittal prenderebbe l’avvio dal 2022. Invitalia sarà socio per una quota intorno al 50% del capitale con un investimento di 1,2 miliardi di euro. La nuova gestione dovrebbe mantenere l’attuale amministratrice delegata Morselli e nominare un Presidente proposto dallo Stato.
Il problema è capire cosa ci sia realmente dietro le chiacchiere di cui parla la Fiom, cosa si celi dietro questo rinnovato interesse statale per l’acciaio. A questo punto sarebbe opportuno rispondere almeno a una domanda:
1) lo Stato intervenendo nel capitale dell’ex ILVA vuole gestire la produzione dell’acciaio o sta solo fornendo i capitali per la exit strategy di Arcelor Mittal e di Intesa San Paolo?
Rispondere sarebbe importante visto che oramai da decenni lo Stato interviene nelle crisi aziendali in nome della socializzazione delle perdite. Ciò è un regalo ai padroni e non certo ai lavoratori.
Il meccanismo lo abbiamo visto all’opera in più occasioni negli ultimi trenta anni e non solo in Italia. Anche se l’infinita epopea di Alitalia e la pantomima con Autostrade per l’Italia qualcosa dovrebbero insegnare. Lo Stato entra nel capitale delle aziende in difficoltà (o la cui remunerazione non è più soddisfacente per il padrone di turno), compra a caro prezzo una congrua quota azionaria, risana l’azienda e poi la rivende in nome di presunta maggiore efficienza della gestione privata (che la medesima azienda aveva mandato gambe all’aria o voleva abbandonare…).
Sarà così anche questa volta?
L’impressione è che tutta l’operazione Arcelor Mittal sia da riconsiderare alla luce di ciò che è accaduto e sta accadendo. La multinazionale aveva davvero interesse a produrre acciaio in Italia? Che condizioni di produzione gli sono state promesse? Quali accordi sono stati presi all’atto dell’acquisto?
In questi mesi abbiamo assistito a scambi di accuse ma ci interessa davvero poco se il problema sta nel non rispetto degli accordi da parte governativa o da parte dei padroni.
A oggi occorrerebbe che qualcuno traesse delle conclusioni che non possono che prevedere: la chiusura di Taranto e un impegno per la bonifica, la riconversione della produzione di acciaio abbandonando totalmente il ciclo continuo basato sugli altoforni, una serie di investimenti per mettere in rete la produzione di acciaio in Italia. Il tutto attraverso una seria programmazione e un piano di interventi. Tutto questo non può essere fatto da nessun padrone il cui unico scopo è legato ai profitti. E la finta nazionalizzazione, soprattutto se sarà una delle farse tipiche di questi anni, allungherà soltanto l’agonia delle imprese coinvolte, dell’intero sistema industriale italiano, dei lavoratori degli impianti e dei cittadini che, come a Taranto, continuano a subire le conseguenze di un modello di sviluppo totalmente da ribaltare.
Nazionalizzare ILVA in modo serio è quindi doveroso, buttare miliardi di euro per aiutare le speculazioni private per poi regalare nuovamente tutto a nuovi padroni non serve a nulla, se non ad aumentare il debito pubblico ingannando i cittadini e facendo contenti solo pochi sfruttatori.
Nel frattempo una torre crolla a Cornigliano e per fortuna non uccide nessuno. A Taranto però si continua a morire di cancro e di malattie respiratorie. Nessuna bonifica è iniziata, i quartieri e le città sono in preda alla desertificazione industriale visto che i padroni producono solo se gli conviene. Ma ciò che conviene a loro non conviene ai lavoratori e ai cittadini.
La chiamano politica industriale, ma è politica criminale. Nei prossimi giorni, quando finalmente sarà reso noto l’accordo tra Governo e Arcelor Mittal (previsto per il 10 dicembre) torneremo sull’argomento analizzandolo e capendo in quale modo lo Stato dovrebbe produrre acciaio rispettando l’ambiente, salvando i lavoratori e continuando a produrre un bene fondamentale e indispensabile per lo sviluppo della società.
Collettivo Comunista Genova City Strike