Cesare Bermani, Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone

Cesare Bermani è tra i maggiori (se non il maggiore) esponenti del metodo storiografico della storia orale. Ha lavorato alla stagione dei Dischi del sole, con Gianni Bosio, allo spettacolo Ci ragiono e canto di Dario Fo, a riviste, oggi, purtroppo poco note quali “Il nuovo canzoniere italiano”, “Primo maggio”, “Il de Martino”. Il suo lavoro antropologico lo ha portato ad occuparsi della migrazione interna, in particolare dell’emarginazione dei bambini nelle “Coree”(i quartieri periferici) di molte città del nord Italia.

Il lavoro di ricerca sulla musica popolare, in una irripetibile stagione che ha prodotto studi, scoperte e cantanti quali Ivan Della Mea e Giovanna Marini, lo ha visto autore di mille opere tra le quali Una storia cantata: 1962-1997. 35 anni di vita del Nuovo canzoniere italiano (Milano, Jaca book, 1997), Guerra, guerra ai palazzi e alle chiese (Roma, Odradek, 2003), Pane, rose e libertà, Le canzoni che hanno fatto l’Italia. 150 anni di musica popolare, sociale e di protesta (Milano, BUR, 2010).

Di Bella ciao, oggi la più nota canzone partigiana nel mondo, Bermani si era già occupato in un breve lavoro del 1998. Vi torna oggi con nuovi elementi, frutto di una ricerca assidua e continua.

La prima “inchieste sul campo” di Bermani, Bosio, Coggiola, Leydi ipotizza che Bella ciao sia nata nel nord del paese. Accetta la versione di Giovanna Marini che la fa derivare da un canto di risaia. Questa “verità” viene presentata, nel giugno 1964, a Spoleto, al Festival dei due mondi suscitando un enorme scandalo e molte proteste.

Emerge poi una versione diversa. Il partigiano Vasco Scansani compone il canto di risaia nel 1951, traendolo da un motivo partigiano, conosciuto nel reggiano, almeno dall’aprile 1944 e poi nella repubblica di Montefiorino. Questo è cantato anche da brigate anarchiche sui monti Apuani.

Le ricerche lo fanno risalire ad un testo ottocentesco di Costantino Nigra, Fior di tomba, ne trovano varianti nelle risaie del vercellese e del pavese, ma la scoperta principale è data dal fatto che la prima versione partigiana appartiene alla brigata Maiella mentre al centro e al nord Italia arriva solamente in seguito.

La sua popolarità, il fatto che il ritornello permetta il battimani scandito, la minore torsione politica la fa divenire il motivo partigiano italiano per eccellenza che, dagli anni ’60, sostituisce progressivamente Fischia il vento più connotata politicamente e meno “universale”.

La fortuna nasce già nel 1947, quando al primo Festival internazionale della gioventù, nato come occasione di incontro della gioventù democratica del mondo, per l’educazione alla pace, contro la guerra e come ideale continuazione della lotta al fascismo, la delegazione italiana la intona, seguita dal battimani di tutte le altre delegazioni. E’ significativo che venga conosciuta e diffusa a Cuba, nella lunga e drammatica guerra del Vietnam, divenga motivo unificante nelle giornate genovesi contro il G8 (luglio 2001), percorra le primavere arabe nel 2011, sia oggi cantata nei cortei di Fridays for future contro la distruzione climatica.

Ancora contribuiscono alla sua fortuna il fatto di essere colonna sonora di una fortunata serie televisiva della Netflix, La casa di carta, e le tante versioni di artisti famosi in Italia e nel mondo intero (per tutti Yves Montand, Pete Seeger, Mercedes Sosa, Goran Bregovic, Manu Chao, Tom Waits…).

Bermani ripercorre tutte le versioni, le trasformazioni nel tempo e nei luoghi. Il risultato non è forse definitivo, ma, secondo il suo metodo, si presta a successive interpretazioni, valutazioni, scoperte…

Come in “Fischia il vento: Felice Cascione e il canto dei ribelli” di Donatella Alfonso (Roma, Castelvecchi, 2014), è centrale l’importanza del canto nello scontro politico, non solamente resistenziale. Bermani cita la scritta sulla chitarra di Woody Guthrie: Questa macchina ammazza i fascisti e il famoso brano di Beppe Fenoglio sulla bellezza e l’importanza di Fischia il vento, intonata a Santo Stefano Belbo dai partigiani”rossi”:

Disse Johnny a Ettore…Essi hanno una canzone e basta. Noi ne abbiamo troppe e nessuna. Questa loro canzone è tremenda. E’ una vera e propria arma contro i fascisti che noi, dobbiamo ammetterlo, non abbiamo nella nostra armeria. Fa impazzire i fascisti, mi dicono, a solo sentirla.

Cesare Bermani, Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone, Novara, Interlinea ed., 2020, pp. 92, 10 euro

Sergio Dalmasso