Islafran: una formazione partigiana internazionale nelle Langhe

Il 25 aprile del 2020 abbiamo effettuato una diretta video con Ezio Zubbini. Il video è inserito qui di seguito. Con Ezio abbiamo parlato di una pagina importante ma oscurata della Resistenza Partigiana. Abbiamo reso un omaggio ai partigiani combattenti delle Langhe, la cui memoria è stata spesso oscurata in funzione anticomunista e antislava. Buona visione. Di seguito uno scritto di Ezio Zubbini sulla storia di Islafran. Al termine un documentario sulla brigata.

Buon 25 aprile a tutti, viva la Resistenza Partigiana, memoria per il presente.

di Ezio Zubbini

Quando si parla di brigate internazionali antifasciste, si pensa subito a quei volontari che dal 1936 al 1938 sono accorsi da tanti paesi per lottare, a fianco della repubblica spagnola, contro il fascismo franchista sostenuto da Hitler e Mussolini.

Pochi sanno che anche qui, sulle colline delle Langhe, ha combattuto una brigata partigiana internazionale, chiamata ISLAFRAN, in cui si sono uniti, per combattere contro la barbarie nazifascista, uomini di nazionalità diverse. I=Italiani, SLA=Slavi, FRAN= Francesi: questi i tre gruppi più consistenti, ma assieme a loro anche molti russi e altri di diverse nazionalità.

LA STORIA

Il punto di partenza per la nascita di questa formazione è, nell’estate del ’43, la presenza nel carcere Santa Caterina di Fossano di numerosi prigionieri politici stranieri. L’8 settembre si trovano lì rinchiusi una ottantina di slavi e altrettanti francesi, catturati dai soldati delle armate fasciste nelle zone di occupazione italiana. L’11 settembre, mentre stanno scendendo in Piemonte le prime SS tedesche, a Fossano avviene un fatto clamoroso: l’evasione in massa dei detenuti. Otto dei francesi evasi – tra cui i combattenti del maquis del Vercors: Louis Chabas, Claude Levy e Simon Samuel – si rifugiano nelle Langhe, a Belvedere. Lì vicino arrivano altri due evasi da Fossano: Daniel Fauquier, maquisard del Lubéron, e lo slavo Eugenio Stipcević, già partigiano in Dalmazia fin dall’estate del ’41.

All’inizio del ’44 comincia la loro avventura partigiana in Italia. Entrano in contatto con la formazione partigiana autonoma del maggiore Enrico Martini “Mauri”, già costituitasi nell’area monregalese, e la seguono prima a Frabosa e poi in val Casotto, partecipando qui alla drammatica battaglia. Ma già nel marzo ’44 Stipcević e Fauquier si separano da Mauri. L’ideologia militarista e nazionalista, monarchica e conservatrice, del badogliano maggiore Mauri non risulta compatibile con la concezione comunista e internazionalista e la prassi guerrigliera dello slavo e del francese. Genio e Daniel tornano nelle Langhe e si sistemano alla Lovera, una frazione di Bonvicino. Riuniscono attorno a sé una squadra di una ventina di uomini, tutti italiani, e la denominano ISLAFRAN: formazione di Italiani-Slavi-Francesi. “Genio” è il comandante, “Daniel” il suo vice. Diffusasi la notizia arrivano subito altri slavi – tutti fuggiti dal carcere di Fossano -, qualche russo – che inserito a forza nelle armate tedesche aveva disertato per unirsi ai partigiani -, e numerosi italiani. Nella vallata accanto Simon Samuel, il sarto comunista del maquis Vercors, organizza una squadra di combattimento con il suo piccolo gruppo di francesi e alcuni giovani italiani. Si sistema a Piangarombo, una frazione di Belvedere.

Quando a metà maggio ’44 scendono nelle Langhe i garibaldini, i due gruppi, di Stipcevic e di Simon, decidono senza esitazione di integrarsi nelle loro formazioni. Costituiranno i distaccamenti italo-slavo e italo-francese della 16^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Generale Perotti” e successivamente della 48^ Brigata Garibaldi “Dante Di Nanni”.

Nel mese di settembre ’44, le fila dell’ISLAFRAN di Stipcević si ingrossano con l’ingresso di altri slavi e qualche russo. Importante è l’opera della partigiana combattente “Ljubica”

(Semencić Milica), la quale aggancia un consistente gruppo serbi in una trattoria di Bene Vagienna, mentre la colonna tedesca in cui sono stati forzatamente arruolati è in sosta, e li persuade a fuggire e a unirsi ai partigiani slavi dell’ISLAFRAN.

A dicembre ’44 si ha la fusione del gruppo italo-slavo di Genio con quello francese di Simon. Da quel momento, fino alla liberazione, l’ISLAFRAN sarà veramente un’organica formazione di italiani, slavi e francesi. La crescita di questa formazione continua nei primi mesi del ’45, diventando G.A.D. (Gruppo Arditi Divisionale), gruppo di pronto intervento, impiegato nelle situazioni più impegnative di combattimento e articolato in 4 distaccamenti. Tra questi spicca il distaccamento “Katiuscia”, la squadra formata tutta da slavi e russi, un formidabile gruppo di guerriglia partigiana. Infine il 27 marzo ’45 l’Islafran – sempre sotto il comando di Eugenio Stipcević – assume lo status di una vera brigata: la 212^ brigata Garibaldi “Maruffi”. Alla Liberazione la brigata internazionale conta 120 uomini combattenti, più 20 allievi, giovani ancora in via di addestramento.

LE IMPRESE E LA TECNICA GUERRIGLIERA

Intensa e importante è l’attività militare dell’ISLAFRAN. Condotta sempre con le tecniche della guerriglia: si sceglie il terreno dello scontro, si compiono imboscate, agguati, sabotaggi, colpi di mano per poi sganciarsi rapidamente disperdendosi, sottraendosi così al contrattacco nemico e a possibili accerchiamenti, per riorganizzarsi in altro luogo. Ma l’ISLAFRAN sa sostenere anche combattimenti lunghi un giorno intero, fa saltare numerosi ponti con l’esplosivo al plastico, assalta i presidi fascisti a Dogliani, partecipa alla difesa di Alba, resiste senza sbandarsi durante il rastrellamento del novembre ’44, condotto con duemila uomini e con mezzi corazzati dalle truppe tedesche e fasciste, e combatte incessantemente fino alla liberazione di Torino.

In particolare va segnalata un’impresa straordinaria dell’ISLAFRAN, avvenuta a Bonvicino: l’attacco a una colonna tedesca che da San Benedetto trasportava verso Dogliani una cinquantina di contadini, presi in ostaggio dopo aver bruciato le loro cascine. Ostaggi destinati alla fucilazione o alla deportazione. L’attacco viene diretto in modo magistrale da Stipcević e condotto con estremo coraggio e abilità da una ventina di uomini guidati da Trbović e Fauquier, i due più audaci guerriglieri dell’Islafran. Al termine dell’attacco tutti gli ostaggi sono liberati, messi in fuga e dispersi i militi tedeschi, eliminata l’auto con gli ufficiali nazisti che guidava la colonna e presa la borsa dei documenti del comandante. Una impresa eccezionale nella storia della Resistenza delle Langhe e che, per i risultati ottenuti, ha un’eguale solo nell’assalto al carcere di Fossano, la notte del 4-5 luglio ’44, con la liberazione di tutti i prigionieri, condotto dal gruppo francese di Simon assieme al distaccamento garibaldino di Prut.

Ezio Zubbini nel suo studio durante la registrazione di un documentario su Islafran

LA BRIGATA SCOMPARSA

Eppure di tutta questa storia, dopo la Liberazione non si saprà pressoché nulla fino a quando, settant’anni dopo, nel 2015, comparirà un libro: “Ezio Zubbini, ISLAFRAN, Storia di una formazione partigiana internazionale nelle Langhe”, in cui per un insieme di circostanze fortunose e sotto la spinta determinante della passione per la ricerca della verità storica, sono state trovate le informazioni necessarie per ricostruire questa importante vicenda partigiana. Informazioni che non si limitano alla raccolta delle testimonianze, pur importanti, ma che si

fondano su una ampia e dettagliatissima documentazione, relativa all’intera vita della brigata; una documentazione che alla Liberazione Stipcević aveva consegnato probabilmente al CLN torinese e poi, depositata all’Istituto Storico della Resistenza di Torino, non era mai stata aperta né studiata da nessuno. Migliaia di messaggi, bollettini, elenchi e documenti, che analizzati, verificati, incrociati tra loro e con le diverse testimonianze, usati con precisa metodologia storica, hanno permesso di costruire non un semplice racconto partigiano ma un saggio storico, rigorosamente documentato, che ha risposto alla richiesta di verità e giustizia che la storia di questa brigata internazionale, censurata e volutamente oscurata, imponeva.

Foto della formazione Katiusha appartenente alla Brigata Islafran formata principalmente da cittadini Sovietici e Slavi

UNA STORIA CENSURATA

Perché proprio di censura bisogna parlare. Infatti tra le carte della brigata depositate all’ISTORETO sarà trovato un documento, datato 30 marzo 1948, firmato dai massimi rappresentanti della XIV divisione Garibaldi, nel quale è fatta scomparire l’esistenza della 212^ Brigata Garibaldi “Maruffi”. Poi, in un altro documento, i nomi di alcuni partigiani di questa brigata vengono inseriti, senza ruoli di comando, in due brigate, la 48^ e la 180^, della stessa XIV Divisione. E così, in tutta la documentazione successiva non compare più nessuna traccia della 212ª Brigata “Maruffi”, la brigata internazionale comandata da Eugenio Stipcević, lo slavo. Quale può essere stato il motivo di questa censura?

Una spiegazione plausibile è che, nel clima politico italiano di quel momento, segnato profondamente dalla crociata anticomunista e dall’antislavismo, legato alla questione dei confini orientali e alla disputa tra italiani e iugoslavi per il possesso di Trieste, gli stessi dirigenti del PCI abbiano voluto “ripulire”, per motivi politici e “patriottici”, le loro formazioni garibaldine da una presenza – quella di una brigata partigiana comandata da uno slavo – che destava ostilità nella popolazione. Un’ostilità ben evidente fin dalla fine della lotta armata, al punto che lo stesso Stipcević, che si era soffermato nelle Langhe per festeggiare coi suoi compagni dalmati la Liberazione, era stato denunciato da un abitante di Dogliani, arrestato dalla Questura di Cuneo su mandato inglese, ed espulso dall’Italia. E nei confronti dell’intero gruppo dei partigiani stranieri dell’ISLAFRAN era stata fatta un’operazione di rimozione e oscuramento culturale.

ISLAFRAN E IL MONDO CONTADINO DELLE LANGHE

E’ questo il riflesso culturale e politico di un difficile rapporto tra questa formazione internazionale e il mondo contadino in cui ha operato. Per questo mondo l’ISLAFRAN ha rappresentato soprattutto una fonte di preoccupazione: la sua presenza sul territorio e la sua combattività non è stata considerata una protezione nei confronti della violenza di fascisti e tedeschi ma piuttosto una minaccia per la proprietà contadina e il fattore che provocava inevitabilmente le ritorsioni nazifasciste. I rastrellamenti, gli incendi, le fucilazioni, le deportazioni tedesche e le rappresaglie fasciste non sarebbero avvenute – così pensava la maggioranza della popolazione contadina delle Langhe – se non fossero state provocate dagli attacchi partigiani. Un fatto come la liberazione di molti ostaggi civili, nel vittorioso agguato dell’ISLAFRAN a Bonvicino, non sarà celebrato con gratitudine dal mondo contadino che lo giudicherà solamente uno scampato pericolo e lo dimenticherà. Guardati con diffidenza e timore saranno in particolare i combattenti venuti dall’est, gli slavi e i russi, i pericolosi comunisti stalinisti.

La loro determinazione nella lotta e le loro idealità, il loro spirito di giustizia sociale e di fratellanza internazionale, erano incompatibili con questo mondo contadino caratterizzato prevalentemente dall’egoismo economico, dalla difesa dei propri interessi immediati, dall’arroccamento nella propria comunità, che si riteneva tutelata solo dai notabili locali e messa in pericolo dal “forestiero”. Una intolleranza – quella verso il forestiero di ieri – che si prolunga nell’ostilità verso l’immigrato di oggi. Verso lo straniero che non sia il turista che porta benefici economici. In questo mondo chiuso, a loro poco favorevole, hanno combattuto per la comune liberazione dalla barbarie nazifascista un gruppo di francesi, slavi e russi, uniti ad un pugno di italiani, in una formazione internazionale chiamata ISLAFRAN.