Le questioni economiche sono di per sé difficili da capire per chi non è esperto in materia. Ciò vale anche per noi, che economisti non siamo. Il problema, però, è che su quel terreno si gioca uno scontro politico con ricadute che impatteranno immediatamente sulla vita di ognuno di noi. Proviamo quindi, schematicamente, a fare chiarezza sulle scelte in campo, cercando di essere più neutri possibile nell’esposizione, tentando di semplificare, e lasciando spazio a considerazioni politiche generali solo nella parte finale.
Per semplicità ci basiamo sull’analisi degli ultimi due passaggi politici riguardanti la conferenza stampa del governo Conte del 6 aprile in presenza del ministro Gualtieri e dell’accordo nell’Eurogruppo del 9 aprile. Tra i due passaggi vi è una continuità evidente, dato che molte delle norme annunciate dal Governo italiano saranno possibili solo dopo un accordo in sede europea. Per il momento siamo in attesa del cosiddetto “Decreto di Aprile” che, superata la fase degli annunci, dovrebbe mettere in campo gli strumenti economici di cui si discute.
Conferenza stampa del 6 aprile 2020
1) Sostanzialmente il Presidente del Consiglio annuncia un piano economico, illustrando alcune iniziative già messe in campo attraverso il precedente decreto “Cura Italia”(1) e altre forme di sostegno alle imprese mediante la creazione di garanzie bancarie ai prestiti.
Vediamo le proposte nel dettaglio:
a) Il decreto Cura Italia sarà integrato fino a 10 miliardi di euro complessivi per garantire alle imprese il recupero di una serie di spese: blocco di parte della tassazione, pagamenti e altri contributi.
b) Garanzie bancarie per le imprese: il governo si impegna a stanziare immediatamente 1,5 miliardi di euro e annuncia un piano complessivo per 200 miliardi di euro allo scopo di consentire alle imprese di raggiungere e ottenere con facilità prestiti bancari. Vi è una ripartizione tra piccoli prestiti, che potranno essere sbloccati immediatamente, e prestiti più corposi, sui quali la garanzia dello Stato arriverà al 90% o al 100% del capitale. Questi 200 miliardi di euro corrispondono al fondo BEI, di cui parleremo più avanti, previsto dall’accordo in sede europea.
c) Vengono annunciate, senza specificarne i dettagli, norme “antiscalata” per le imprese quotate in borsa, attraverso l’attivazione della “golden power”. Si tratta di un sistema con cui lo Stato si riserva di poter dire l’ultima parola su acquisizioni di quote azionarie o decisioni del cda di una azienda “strategica”, ritenute lesive per il “sistema paese”.
d) Si annuncia, anche qui senza dettagli, un sostegno alle aziende sanitarie (non si specifica se pubbliche o anche private) che saranno inserite nel piano sanitario di contrasto alla pandemia.
La conferenza stampa del 6 aprile è quindi sostanzialmente interlocutoria. Il governo parla di cifre complessive che sono fondi effettivamente stanziati nel decreto Cura Italia (una parte di sostegno alle imprese, l’anticipo del finanziamento ai comuni per l’emergenza alimentare) sommati a fondi che verranno ulteriormente aggiunti. Su questi ultimi la formulazione è vaga, in quanto occorre prima verificarne l’effettiva mobilitazione dopo l’accordo in sede europea.
Accordo Eurogruppo del 10 aprile 2020
La riunione dura due giorni. Si è resa necessaria dopo che precedenti trattative nel Consiglio Europeo con i cancellieri, primi ministri e presidenti del consiglio dei vari Stati si erano arenate su proposte differenti. Il Presidente Conte lasciava trasparire una netta preferenza per i cosiddetti Eurobond emessi direttamente dalla BCE e sulla “mutualizzazione del debito”. Proveremo a chiarire più avanti il significato di questi strumenti e ciò che sottendono.
Alcuni paesi come Spagna, Belgio, Irlanda, Portogallo e, in misura minore, Francia sembravano appoggiare la linea italiana. Altri paesi, tra cui la Germania e, con grande esposizione, l’Olanda, si ponevano in opposizione, proponendo l’avvio di procedure più in linea con lo statuto della UE e della BCE e parlando della necessità di rispettare i trattati europei.
L’accordo è stato raggiunto con un documento uscito la sera del 10 aprile. Vediamo di che si tratta:
1) Innanzitutto si tratta di un accordo che dovrà essere ratificato dal Consiglio Europeo, in quanto l’Eurogruppo non ne ha la facoltà; il suo compito era quello di stilare i termini di un accordo da sottoporre al Consiglio medesimo, la cui riunione è fissata per la prossima settimana.
2) Si tratta in totale di 4 provvedimenti: il fondo SURE per un totale di 100 miliardi di euro, le garanzie bancarie BEI per un totale di 200 miliardi di euro, l’avvio di una linea di finanziamento MES per le spese sanitarie pari a 240 miliardi di euro e un fondo REF per il sostegno alle imprese, con un importo che viene dichiarato pari a 500 miliardi di euro.
Li descriveremo, separatamente indicando però che sui primi due strumenti sembra esserci accordo tra gli Stati membri. Sul terzo la situazione appare controversa, mentre il quarto è un annuncio di un fondo tutto da studiare nei dettagli.
a) Il fondo SURE riguarda un finanziamento per le spese sociali (redditi di emergenza, finanziamento della cassa integrazione per chi non lavora a causa del blocco delle attività, etc.). Il fondo sarà spalmato in 10 anni e quindi si riduce a circa 10 miliardi di euro all’anno da dividersi tra i vari Stati, senza che siano specificati i dettagli. In media, ogni anno potrebbe essere fornita a ogni Stato una cifra pari a 500 milioni di euro.
b) Le garanzie BEI si basano sulla creazione di un fondo garantito dagli Stati membri attraverso un deposito di 25 miliardi di euro, ripartito tra gli Stati che vorranno attivarlo. Una volta attivato, quindi, dopo che i vari Stati avranno contribuito al lancio, il fondo dovrebbe occuparsi di stanziare fino a 200 miliardi di euro per le imprese. L’annuncio delle garanzie alle imprese fornito da Conte e Gualtieri nella conferenza stampa del 6 aprile si riferisce quindi, con tutta probabilità, alla creazione di questo fondo comunitario. Non sarebbe quindi il solo Stato italiano a fornire la garanzia, ma gli stati membri che attiveranno il fondo.
c) La linea di finanziamento per le spese sanitarie viene trattata come l’avvio di un MES senza condizioni, con l’unica indicazione riguardante l’uso delle risorse per l’emergenza sanitaria. Su questo vi è uno scontro di interpretazioni. Per alcuni è un meccanismo di finanziamento che non attiverebbe la tagliola prevista dal normale MES dell’Unione Europea, in quanto l’aumento del debito dovuto alle spese non attiverà in automatico il commissariamento dello Stato. Contemporaneamente,, però si legge nel testo dell’eurogruppo che, al termine dell’emergenza, gli Stati dovranno rientrare nei meccanismi previsti dal trattato. Si tratta di capire se il meccanismo sanzionatorio è sospeso per sempre o solo temporaneamente. E perché si chiama sostegno attraverso il MES, se ne abbatte realmente e definitivamente gli elementi condizionanti. Si tratta di una questione di grande importanza in quanto, al termine dell’emergenza, ci sarà da comprendere quanto le spese impatteranno sul bilancio degli Stati e quanto sarà opportuno spendere per ricostruire un sistema sanitario decente anche nella fase successiva (ammesso che lo si voglia fare, superando decenni di tagli sostenuti e incoraggiati in sede comunitaria).
d) L’attivazione del fondo REF risente, nella formulazione dell’Eurogruppo, dell’ambiguità causata dal contrasto di interessi emerso tra i vari governi dei paesi comunitari. Si parla di 500 miliardi di euro di finanziamenti con, citiamo testualmente, “strumenti innovativi”, ma contemporaneamente “coerenti con i trattati”. La definizione statutaria del nuovo fondo è, ovviamente, rimandata ad altre riunioni. Per il momento si tratta di comprendere se prevarrà la formula dell’innovazione o della coerenza con i trattati.
Il Presidente del Consiglio Conte, nella conferenza stampa del 10 aprile 2020 ha ribadito la propria contrarietà all’applicazione del MES. Di questo trattato si parla da molto tempo e il Presidente del Consiglio ha sicuramente ragione nel ricordare che una parte dell’opposizione di destra lo ha approvato. Ciò che Conte dimentica è che anche una parte del suo governo attuale (il Partito Democratico, ben rappresentato all’eurogruppo dal Ministro Gualtieri e dal commissario Gentiloni) lo ha sempre approvato e sponsorizzato. La sua contrarietà, ribadita pur con alcune contraddizioni anche nell’ultima conferenza stampa, si scontra quindi con le dichiarazioni entusiastiche espresse dopo l’accordo dagli appena citati Gualtieri e Gentiloni.
Per capire la reale portata dello scontro è necessario comprendere cosa è il MES, cosa si intende con la formulazione degli Eurobond e cosa è “coerente” o meno con i trattati della UE. È necessario quindi ancora uno sforzo di comprensione. Ovviamente cerchiamo anche qui di semplificare all’osso, rimandando gli approfondimenti alle note al testo.
1) Il Meccanismo Europeo di Stabilità (2) eroga finanziamenti agli Stati della UE per specifici ambiti di utilizzo. Il Meccanismo prevede l’attivazione automatica di sanzioni nel caso in cui i parametri economici su cui interviene non corrispondano ai trattati europei già in vigore (Maastricht e successive integrazioni). L’automatismo farà scattare immediatamente (quindi senza nessuna trattativa tra gli Stati e le istituzioni UE) le azioni punitive nei confronti dei singoli Stati che non correggeranno i parametri. A cominciare dai meccanismi di speculazione finanziaria a cui siamo stati abituati in questi anni. Sostanzialmente, come notato da molti economisti tra i quali Varoufakis(3) in un commento ai risultati dell’eurogruppo del 10 aprile, si tratta di un affinamento dei meccanismi di austerità imposti alla Grecia nel periodo dei memorandum.
2) L’alternativa fatta balenare dal Governo italiano come proposta all’eurogruppo sono gli Eurobond. Si tratta di una formula che si presta a parecchie contraddizioni, in quanto non prevista nell’ordinamento dell’UE e non coerente con i trattati attualmente vigenti.
In sostanza si chiederebbe, attraverso la BCE, l’emissione di titoli comunitari sul mercato primario, cioè verso i singoli Stati. Questi titoli avrebbero due caratteristiche: essendo emessi dalla UE dovrebbero avere dei rendimenti intermedi tra i paesi e quindi produrrebbero un vantaggio per i paesi dell’area Sud nei confronti dei paesi del Nord; inoltre, se le emissioni fossero a lunga scadenza, consentirebbero di “spalmare” il debito su molti anni (da 20 a 50 secondo le varie modulazioni) garantendone così la mutualizzazione.
La contraddizione degli Eurobond
Gli Eurobond sono di per sé una proposta che apre numerose contraddizioni all’interno della UE. In primo luogo vi è il rifiuto politico da parte dei paesi del nord (Germania, Olanda e altri), in quanto parte del debito comunitario che si creerebbe diminuirebbe la quota di debito nazionale di paesi come l’Italia (che è costretta in questo momento a pagare rendimenti più alti) e aumenterebbe la quota a carico dei paesi che vengono considerati virtuosi. In questo senso gli Eurobond alluderebbero a un meccanismo di solidarietà europeo che i paesi del Nord rifiutano, mentre per i paesi del Sud sarebbe giustificato dal fatto che gli stessi paesi del Nord hanno valori macroeconomici migliori grazie alle esportazioni interne alla UE, quindi un miglioramento complessivo interno sarebbe anche a loro vantaggio, per lo meno in prospettiva.
Tale proposta si scontra, inoltre, con lo Statuto della BCE, che non prevede l’emissione di titoli di debito sul mercato finanziario primario, perché la BCE non è una vera e propria “banca centrale” (sul modello della FED statunitense o della Bank of Japan giapponese), ma un sistema che riunisce le banche centrali dei paesi aderenti all’Euro, con tutte le frizioni che ciò implica, nonostante una retorica comunitaria che le mistifica costantemente.
Le stesse contraddittorie limitazioni statutarie non consentono alla BCE di operare come “prestatore di ultima istanza”, ovvero acquirente attivo di parte (25-30% circa) dei titoli che essa stessa dovrebbe emettere sul mercato finanziario. Questo ruolo è fondamentale per evitare che eventuali Eurobond finiscano preda della speculazione finanziaria, riproducendo su scala continentale la querelle dello spread che l’Italia e più in generale i paesi mediterranei subiscono da anni.
Le difficoltà non terminano qui, perché occorrerebbe garantire che i singoli Stati possano e vogliano effettivamente usare questi soldi per il rilancio economico in investimenti, a sostegno del welfare, della sanità, dei servizi pubblici, delle garanzie e dei salari per rilanciare l’occupazione e il potere di acquisto, cosa tra l’altro totalmente inedita da decine di anni e non prevista dallo Statuto della BCE, che pone il proprio focus esclusivamente sulla stabilità dei prezzi sul mercato.
Considerazioni finali
Trattare la partita che si sta giocando a livello UE in base al tasso di menzogne delle destra è abbastanza fuorviante.
Lo slogan “Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema”(4) non è semplicemente una proposizione politica a effetto, ma una realtà fattuale che, almeno nella sua prima parte, riguarda tutti. Non torneremo a nessuna normalità in quanto l’effetto della pandemia sarà a lungo termine, si inserirà in una crisi economica e in un sistema di disequilibri globali e sociali evidenti già da prima e avrà effetti a lungo termine, determinando di fatto una crisi di sistema.
Non si tornerà quindi alla normalità di ieri, che era un problema per i lavoratori, per i cittadini a basso reddito, per i piccoli imprenditori, per i migranti, per le economie di interi Stati, ma non lo era affatto per gli speculatori o per i padroni. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo.
Ciò non significa che ce la caveremo spiegando ideologicamente che ogni manovra è inutile, inefficiente o dannosa.
Non possiamo sostenere soltanto che la trasformazione del debito privato in debito pubblico significa trasferire la crisi dei padroni in ulteriori sacrifici e massacri sociali. Ciò è sicuramente vero in assoluto, ma non esiste in questo momento nessun movimento rivoluzionario in grado di porre questa questione e trasformarla in un rivolgimento sociale complessivo. Il problema purtroppo, almeno in Europa, è diverso, e riguarda l’assoluta necessità di ricostruire il welfare su basi universali, di ricostruire i servizi pubblici, di garantire reddito e di rivedere totalmente il sistema produttivo. Per questo, nell’immediato non è evitabile la trasformazione del debito privato in debito pubblico.
Nell’immediato, quindi, è necessario battersi affinché questo debito non diventi occasione per nuovi tagli e nuove ristrutturazioni a favore dei padroni. Significa battersi per una nuova pianificazione sociale ed economica.
Non sappiamo come finirà la trattativa al Consiglio Europeo. Facciamo però presente che a oggi è in campo il MES, le cui condizionalità non appaiono affatto sospese, se non per breve periodo. A oggi non è possibile prevedere se il REF possa assolvere alle funzioni di mutualizzazione e solidarietà richieste dalla situazione risultando al contempo “coerente” con i trattati della UE.
Possiamo ovviamente rallegrarci, per pochi minuti e per chi ne ha voglia, del fatto che il Presidente del Consiglio abbia sbugiardato in diretta gli inguardabili fascisti nostrani. Non possiamo però permetterci di lasciare nuovamente alla destra e ai razzisti la possibilità di contrastare accordi che causeranno nuovi disastri sociali, molto più intensi di quelli già creati.
L’Unione Europea non è riformabile. Si può tentare di forzarne i meccanismi, ma rimane una entità costruita a favore degli interessi di alcuni padroni e speculatori, non certo per i lavoratori e gli sfruttati.
Ciò che è accaduto alla Grecia, continuando così capiterà anche a noi; se la sinistra e i comunisti hanno un ruolo devono essere chiari sui temi e non sulle dichiarazioni temporanee, per non consegnare le classi popolari alla propaganda fascista.
Piccolo inciso – Nel momento in cui infuriava la polemica sul MES, il PD proponeva un contributo di solidarietà per i redditi superiori a 80 mila euro l’anno. Il Movimento 5 Stelle e la Lega si dichiaravano contrari. Il gettito di un tale provvedimento sarebbe molto basso e sconta il fatto di essere una norma sul reddito e non sul patrimonio. Detto questo, in questa fase, tutto può essere utile se inserito nel meccanismo di redistribuzione sociale e abbassa il costo della crisi che devono pagare le classi subalterne.
Una tassa sui patrimoni è comunque diversa da una tassa sul reddito. A oggi una reale patrimoniale per recuperare soldi sottraendoli alla rendita o alla speculazione sarebbe necessaria. Anche l’Unione Europea potrebbe concepirla come procedura di emergenza(5).
All’eurogruppo non si è parlato di questo; il Presidente del Consiglio Conte ha dichiarato che non è tra le priorità in discussione. A oggi se, come auspicabile, rifiuteremo la linea del MES, sono stati realmente stanziati dalla UE solo i 10 miliardi di euro l’anno dei fondi SURE da dividersi tra tutti gli Stati membri…
Che cosa c’è da festeggiare?
Note:
1) Cura Italia DPCM del 17 marzo 2020 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/17/20G00034/sg
2) MES, Meccanismo Europeo di Stabilità https://it.wikipedia.org/wiki/Meccanismo_europeo_di_stabilit%C3%A0
3) La presa di posizione di Varoufakis è stata espressa qua https://twitter.com/yanisvaroufakis/status/1248352040000118786 . La traduzione è la seguente: “E così ce l’hai: Italia e alleati. Hanno accettato prestiti del MES che porteranno a una severa austerità il prossimo anno, pietosi prestiti alle imprese della BEI, un sistema pseudo-federale di riassicurazione della disoccupazione e qualche briciola di filantropia. In cambio si sono impegnati nella depressione permanente”
4) Link a testo PAP https://poterealpopolo.org/non-torneremo-alla-normalita-perche-la-normalita-era-il-problema/
5) Vedi Articolo 66 Trattato di funzionamento UE a questo link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:12012E/TXT&from=IT
Collettivo Comunista Genova City Strike, 11 aprile 2020