Alla fine, dopo dieci giorni di silenzio, anche i nostri media principali si sono accorti della rivolta in Ecuador. Dopo la sigla della tregua tra le principali organizzazioni indigene e il governo (con la mediazione delle gerarchie ecclesiastiche), la Repubblica mette le notizia pubblicando un video e spiegando che era stata bloccata la manovra che avrebbe aumentato il prezzo dei carburanti.
Dieci giorni di rivolta con decine di vittime, il Presidente Moreno costretto a rifugiarsi in una base militare fuori dalla capitale Quito, milioni di cittadini in piazza: per i giornali italiani non è successo praticamente nulla. Eppure, la crisi sociale e politica in Ecuador viene da lontano e quindi vale la pena di essere raccontata anche perché, quella firmata rischia di essere una tregua molto temporanea.
Il Presidente Moreno
Lenin Moreno è il successore di Rafael Correa. Il Presidente della Revolucion Ciudadana si trova attualmente in Belgio (paese della moglie) dove si è trasferito dopo il passaggio di consegne. Il trasferimento, apparentemente, è dovuto a motivi personali ma su Correa, in questo momento, pendono circa 33 procedimenti giudiziari attivati dalla magistratura con vari capi di accusa.
Correa è accusato di corruzione e malversazione e viene considerato dal nuovo establishment come colui che ha creato l’enorme mole di debito pubblico. Debito che dovrebbe essere sanato attraverso un prestito del Fondo Monetario Internazionale in cambio di una ristrutturazione economica fatta di tagli sociali, licenziamenti, aumenti del carburante.
La lotta politica tra Correa e il suo ex delfino è cominciata pochi mesi dopo l’insediamento di Moreno. Dapprima è stata derubricata come una guerra personale tra i due presidenti, ma presto si è trasformata in una guerra con evidenti motivazioni politiche. Moreno ha infatti ribaltato le prospettive politiche dei precedenti governi pur continuando ad erigersi a paladino della Revolucion iniziata da Correa. Il Partito Alianza Pais si è subito spaccato anche in virtù delle persecuzioni politiche che hanno colpito i vertici fedeli al vecchio corso. Il nome più noto è quello del Vice Presidente Jorge Glas attualmente incarcerato in condizioni durissime nonostante la fumosità delle accuse. Più volte entrato in sciopero della fame, Glas è attualmente incarcerato in un normale istituto per detenuti comuni senza nessuna garanzia.
Anche sul piano internazionale Moreno ha ribaltato la politica dell’Ecuador. Il primo passo è stata l’uscita formale dall’ALBA e il rientro nel gruppo di Lima formato dai paesi nell’orbita e sotto influenza degli Stati Uniti. La nuova collocazione ha causato immediatamente il passaggio dell’Ecuador tra i paesi nemici del governo venezuelano e il governo di Maduro, da alleato, si è trasformato immediatamente in un regime dittatoriale.
Sul piano economico, l’Ecuador del nuovo corso ha nuovamente deciso di rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale che Correa aveva sostanzialmente allontanato dai vertici dello Stato. Eletto al governo dopo l’ennesima tornata di proteste popolari contro i tagli e le ingerenze del FMI, Correa aveva provato a risollevare l’economia ritornando alla moneta nazionale (dopo un lungo periodo in cui l’Ecuador aveva adottato il dollaro), rinegoziando il debito pubblico dopo averlo sottoposto a un lungo audit in cui una buona parte è stata considerata illegittima. Dopo un breve periodo di aggiustamento, l’Ecuador ha conosciuto un periodo di conquiste sociali e politiche che si sono riverberate soprattutto a favore delle classi popolari e indigene. La popolarità di Correa è salita alle stelle causandone la rielezione.
La prima parte del suo mandato ha avuto quindi profondi meriti. In quel periodo l’Ecuador sfruttava il meccanismo virtuoso dell’ALBA e l’amicizia con i governi progressisti e socialisti dell’area (Venezuela, Bolivia, Cuba ma anche Uruguay, Brasile ed Argentina).
Nella seconda parte del suo mandato la situazione si presenta effettivamente più complessa facendo emergere alcuni limiti evidenti di governance (1).
La divaricazione tra il Governo Correa e il mondo indigeno
In una intervista recentemente effettuata dalla giornalista e compagna Geraldina Colotti al consulente internazionale Amauri Chamorro(2), non si negano le distanze politiche tra il precedente governo di Rafael Correa e i movimenti indigeni. Divergenze soprattutto in politica economica:
“Se si rimane nell’ambito della democrazia borghese, occorre una capacità economico-produttiva che consenta di approfondire il processo rivoluzionario. Per andare verso un sistema di sviluppo basato sulla conoscenza e non sull’estrattivismo c’era bisogno del petrolio per finanziarlo…”
E ancora più avanti sulle divergenze specifiche con il CONAIE, la principale organizzazione indigena del paese:
“Stesso discorso vale per i vertici della Conaie, la Confederazione delle nazionalità indigene, che oggi si presenta come l’organizzazione che dirige le mobilitazioni indigene, mentre non è così, si è aggiunta dopo, quando il popolo era già in piazza. La Conaie ha appoggiato il banchiere Guillermo Lasso, che ha rubato al popolo oltre 30.000 milioni di dollari, è finito in tribunale ma se l’è cavata, ha fatto campagna per questo rappresentante del neoliberismo. E’ un’organizzazione i cui vertici sono corrotti e non rappresentano il mondo indigeno, che ha sempre votato per Correa.”
Il CONAIE è tra i firmatari della tregua con il governo Moreno ottenuto dopo 10 giorni di mobilitazione. Ripreso in video il loro leader ha accettato la revisione concordata del paquetazo (l’insieme di misure concordate con il FMI) ed ha accusato il governo Moreno di essere controllato dalla destra e dal FMI.
Il problema oggi è capire come evolverà la trattativa per capire se reggerà la tregua. Sicuramente il CONAIE e le altre organizzazioni indigene hanno vinto la prima parte della battaglia ma la guerra è ancora in corso e gli attori in campo non rappresentano totalmente gli interessi di tutti coloro che sono scesi i piazza.
La repressione selettiva del Governo Moreno
Nicholas Maduro (che secondo Moreno era, insieme a Correa, l’organizzatore occulto delle mobilitazioni) si è affrettato a ringraziare i movimenti indigeni e il popolo ecuadoriano per aver bloccato la manovra del Fondo Monetario Internazionale. Lo stesso è accaduto con gli altri leader progressisti dell’America Latina. Il successo è evidente, così come è assolutamente comprensibile provare a mettere a frutto la mobilitazione di questi giorni. Il problema però presenta molteplici aspetti che possono complicare la situazione.
Al di là delle parole e della resa, il governo Moreno non sembra avere alternative reali visto il rientro nel paese dei poteri economici transnazionali a servizio del capitale e delle oligarchie.
Sotto molti punti di vista la tregua sembra essere utile a Moreno per separare un movimento “buono” (quello indigeno) da uno “cattivo” rappresentato dai sostenitori dell’ex Presidente Correa. Negli istanti in cui veniva siglata l’accordo venivano continuate le operazioni di polizia mirate e rivolte verso coloro che avevano supportato l’iniziativa colpendo, tra l’altro, sindaci ed esponenti del vecchio governo(3).
E’ evidente che per Moreno è assolutamente prioritario sfruttare le incomprensioni tra l’ex Presidente ed i movimenti indigeni sfruttando la possibilità di rimanere al vertice.
La forza del movimento indigeno è comunque tale da poter respingere ulteriori tradimenti e compromessi al ribasso. Se il CONAIE e altri dovessero accettare compromessi al ribasso è probabile che il popolo sceso in piazza non accetti. Come è accaduto in questi anni molte volte. Soprattutto in quei paesi dove la forza e i ottenuti dai governi dell’ALBA hanno ridato dignità a popoli sfruttati e oppressi.
Collettivo Comunista Genova City Strike
Note:
1) La necessità di ricorrere a processi di modernizzazione nei territori indigeni è un nervo scoperto non solo in Ecuador ma in tutti i paesi latinoamericani. In particolare le divergenze riguardano lo sfruttamento delle risorse petrolifere e minerarie. I governi progressisti hanno sempre cercato il dialogo attraverso la proposta di infrastrutture sociali (scuole, ospedali, elettrificazione) in che avrebbero accompagnato il processo di sfruttamento delle risorse.
2) Intervista pubblicata su l’Antidiplomatico https://www.lantidiplomatico.it/dettnews intervista_ad_amauri_chamorro_lecuador__vicino_alla_guerra_civile_moreno_usa_le_ambulanze_per_trasportare_armi_antisommossa/5496_31113/
3) Paola Pabon, prefetto di Pichincha, è stata arrestata con l’accusa di aver favorito i blocchi stradali. La deputata fedele a Correa, Gabriela Rivadeneira, è attualmente sotto protezione dell’ambasciata messicana a Quito perché sottoposta a persecuzione politica. Questi sono i nomi più noti ma gli arresti e le persecuzioni sono quotidiane e si sono intensificate durante la rivolta popolare.