Nel 2014, la centrale Tirreno Power (situata a cavallo dei comuni di Vado Ligure e Quiliano, a pochissimi chilometri da Savona) è stata sequestrata dalla magistratura che ha messo sotto indagine per omicidio colposo, disastro ambientale e abuso d’ufficio i vertici dell’azienda, gli amministratori regionali e comunali. La chiusura degli impianti ha lasciato a casa circa 500 lavoratori compreso l’indotto.
Secondo uno studio recentemente pubblicato, nella zona della Provincia di Savona intorno alla centrale elettrica di Vado Ligure la mortalità è aumentata del 49% negli anni compresi tra il 2001 e il 2013.
Per il management di Tirreno Power questi ultimi dati sono in realtà vecchi, riciclati e già contestati da altri studi. Per i magistrati, invece, gli studi che escludevano i pericoli non erano eseguiti secondo le regole e gli amministratori risulterebbero complici di alterazione dei dati, negligenze e omissioni.
Qualche anno fa Tirreno Power aveva chiesto l’autorizzazione per aprire un nuovo bruciatore a carbone. Nella certificazione richiesta venivano concesse l’apertura del nuovo impianto e, contemporaneamente, la proroga dei vecchi impianti risalenti agli anni ‘70. Proroga che veniva più volte reiterata, fino al 2014.
Quella della Tirreno Power è una storia emblematica. Nata come centrale di Stato, viene privatizzata e da Enel passa a Sorgenia del gruppo De Benedetti (l’editore del gruppo mediatico Repubblica-l’Espresso, l’uomo che vive in Svizzera per sfuggire alla magistratura, colui che si vantava di essere la tessera numero 1 del neonato PD) che la gestisce in quota con una azienda francese.
È situata in una valle in cui, dal dopoguerra in poi, si alternavano ciminiere, orti e frutteti. Il tutto in un’area urbana estesa che comprende i comuni di Vado e Quiliano ma lambisce il Comune di Savona, la cui propaggine ovest si trova a meno di un chilometro dal sito della centrale.
Il carbone era l’elemento caratteristico di tutto il sito industriale. Scaricato dalle navi nel Porto di Vado, veniva instradato su nastri trasportatori che lo dividevano tra la cokeria (chiusa da anni) e la centrale. I depositi erano all’aria aperta e il carbone ridisegnava un paesaggio in cui le facciate dei palazzi erano nere di fuliggine così come i vestiti degli operai, gli occhi e le narici delle migliaia di chi, con il carbone, lavorava quotidianamente. Era una filiera ben congegnata: le gru asportavano il carbone dalle stive delle navi, gli operai della cokeria lo inserivano nei forni dove usciva il coke (che per lunghi anni veniva usato nelle acciaierie ILVA di Savona e Cornigliano) e una serie di sottoprodotti (idrocarburi aromatici) che venivano inviati alle industrie farmaceutiche e chimiche. Ma i nastri scaricavano anche nella centrale, dove i massi e la polvere nera venivano lasciati in un piazzale scoperto per poi essere bruciati e produrre energia.
L’insostenibilità ambientale di un tale modo di produrre era nota a tutti fino dagli anni ‘70. Soprattutto agli operai che, per anni, avevano costruito dure lotte per l’ammodernamento degli impianti e per la salvaguardia della salute. A cominciare dalle cose più banali, come un tetto o una copertura che impedisse alla polvere di carbone di volare via o una serie di pompe idrauliche per bagnare i depositi ed evitare il mulinio delle polveri.
La crisi industriale ha fatto chiudere la cokeria, ma il rispetto dell’ambiente, di cui molti allora si riempivano la bocca, non c’entrava nulla. In quel caso c’era da passare a una diversa fonte di profitto per gli speculatori, c’era da trasformare una zona industriale in una città in preda alla speculazione edilizia. Gli operai e i residenti prima sono stati avvelenati e poi sono stati lasciati senza lavoro. La centrale ha continuato a macinare profitti nonostante la continua diminuzione dei dipendenti e in quel caso le condizioni ambientali non erano più una priorità per nessuno.
Negli anni ‘80 a Savona il pH medio delle piogge era di circa 3 unità, molto più acido del dovuto. La CO2 usciva dai camini, ma il problema andava ben oltre l’effetto serra, perché dalle ciminiere uscivano anche ossidi di azoto e soprattutto di zolfo che, mescolati con l’acqua formano acido nitrico e acido solforico, molto più acidi dell’acido carbonico.
Nessuno ha mai pensato di riconvertire le produzioni e salvare il tessuto industriale. Nessuno ha mai pensato di sostituire il carbone, nessuno ha pensato di chiedere conto a Sorgenia dei lavori di ammodernamento ambientale mai realizzati, nonostante le promesse utili solo a ottenere nuove proroghe.
L’area di Savona è da anni un deserto industriale. Per questo, a parole, i governanti si trincerano dietro la sorte di qualche centinaio di lavoratori e si ricordano dell’elevatissimo tasso di disoccupazione della regione per giustificare omissioni e reati di complicità nel nascondere il disastro ambientale. Nelle intercettazioni dei giudici, i politici e i vertici di Tirreno Power studiano il modo per non fare sequestrare la centrale. I dirigenti negano ancora oggi i dati del disastro e l’azienda (che si fa pubblicità vantando l’uso di fonti rinnovabili e tingendo i propri abiti straparlando di green economy) si indebita con le banche proponendo astrusi piani industriali.
Nel frattempo, gli ultimi dati confermano ciò che cittadini, attivisti, medici ed ex lavoratori sostenevano da anni: nella zona non si vive e si rischia di morire per malattie respiratorie, cardiocircolatorie e tumori con una incidenza nettamente superiore alla media.
Ma i cittadini che hanno vissuto per anni in una zona ad elevatissimo rischio, gli operai che ci hanno faticato una vita contraendo malattie gravi, gli agricoltori che hanno visto distruggere i loro terreni non sono stati uccisi dal carbone, bensì con l’uso del carbone, esattamente come i soldati in guerra non sono stati uccisi da un fucile o da una pistola ma da un soldato nemico e da chi li ha mandati al fronte. E quel nemico è il capitalismo, la ricerca del profitto a tutti i costi, sono i politici corrotti al soldo degli inquinatori e dei devastatori ambientali.
Questo testo è stato scritto per Potere al Popolo Liguria
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