Governo Conte: cause della crisi e possibili sviluppi futuri

Proviamo ad articolare e condividere qualche ragionamento sul precipitare della situazione che ha condotto il governo Conte ad una rapidissima, quanto acuta, crisi e poi alle dimissioni.

A noi pare che se ne sia discusso tanto e in modo confuso dappertutto, compresa la nostra area (1). Lo strappo di Salvini è quindi stato descritto come una mossa praticamente folle.

 

Con la Lega ormai egemone nella propaganda politica e negli indici di gradimento – lasciamo un momento da parte l’effettiva rappresentatività dei sondaggi visto che comunque dobbiamo ragionare su chi, pur in modo spurio, esprime una preferenza “politica” – era sensato attendersi un riassetto dei poteri all’interno del Governo e nulla di più. Per esempio, un passaggio dei dicasteri trasporti e difesa in quota leghista, magari con un nome “condiviso” con FI ai trasporti e con FdI alla difesa.

Ciò avrebbe consentito alla Lega di:

– chiudere i giochi con il M5S, che, in un contesto del genere, sarebbe andato ben oltre la normalizzazione istituzionale, suonando il requiem con l’elettorato che l’ha sostenuto;

– chiudere in modo definitivo la partita egemonica all’interno del centro destra, probabilmente recuperando qualche notabile con peso e maniglie in libera uscita da FI;

– ammansire le istituzioni UE che, a nostro parere, “temono” maggiormente l’anomalia impazzita (soprattutto il raggruppamento sociale di cui è contraddittoria espressione) M5S rispetto a qualsiasi ipotesi fascio-sovranista-nazionalista; lo dimostra il fatto che Orban va bene, così come vanno bene Kurz o Erdogan appena oltre confine.

Comunque, di tutto questo non si verifica assolutamente nulla, la crisi di governo è gestita come fosse la sceneggiatura di un film di Monicelli e “il capitano” precipita in un paio di giorno al rango di marmittone.

È scontato domandarsi “perché” tutto questo sì sia verificato, di seguito proveremo a fornire la nostra ipotesi in merito.

Partendo dal presupposto che, per quanto sboccato nella comunicazione e maldestro nella tattica politica, Salvini non è uno stupido, le motivazioni in capo alla crisi del Governo Conte possono essere cercate al di fuori delle beghe di potere in seno alla classe politica nazionale.

L’unica cosa che da un decennio abbondante fa tremare le ginocchia a tutto il personale politico è la legge finanziaria. In 10 anni, i margini di flessibilità sia dal lato degli sceriffi europei, sia da quello della popolazione che ne subisce le politiche si è sempre più ristretto, perché ci sono sempre meno risorse da drenare dalla società (2) a fronte di una voracità in crescita esponenziale da parte dei “mercati” e imposta alle popolazioni continentali con i vari trattati europei (fiscal compact ecc.).

La sclerotizzazione generata da questa contraddizione materiale è evidente, come è evidente che la classe politica che dovrebbe gestirla ne diventa la prima “vittima”, perché impossibilitata a trovare una quadra tra promesse elettorali e profitti da garantire ai “mercati”.

Questa contraddizione, per altro, si riverbera anche sui “mercati” stessi a cui le sagome di cartone cattura consenso, servono per gestire una struttura istituzionale che mantiene ancora una parvenza formale di democraticità. Quest’ultima, per quanto sbiadita e confusa nella percezione generale, è infatti agìta dalle masse: le consultazione referendarie che si sono svolte negli ultimi anni in tutta la UE lo dimostrano, nonostante abbiano trattato questioni molto diversificate tra loro.

L’innesco della crisi del Governo Conte è dunque più verosimile identificarlo nell’approssimarsi della nuova legge finanziaria, piuttosto che nelle pantomime a uso social di Salvini e Di Maio.

A sua volta la scintilla che ha acceso l’innesco alla crisi è, in definitiva, l’aggravarsi della situazione economica internazionale, che a livello continentale, ha ritrovato la Germania nel poco invidiabile ruolo di malata d’Europa.

Uno stato quest’ultimo certificato dalla caduta della produzione industriale (dato di luglio 2019) su base annua del 5,9% (3). Il calo appena menzionato è inoltre parallelo alla diminuzione delle esportazioni, sempre tedesche, sul mercato cinese attestate a un -12,4% (sempre su base annua, la rilevazione è riferita a giugno 2019)(4)

La situazione fin qui descritta ci consente alcune osservazioni empiriche:

– il modello mercantilista tedesco, su cui è modellata l’intera struttura economica comunitaria, sembra essere giunto al capolinea;

– il declino della globalizzazione, in via di sostituzione con la competizione tra aree economico-continentali contrapposte (5), è la prima causa di crisi del modello mercantilista;

– la totale assenza di investimenti produttivi è la seconda, immediata, causa di declino del mercantilismo tedesco;

– la guerra dei dazi aperta dall’amministrazione Trump nei confronti della Cina, si è riverberata molto rapidamente anche sui profitti dei capitali comunitari. Gli USA infatti, muovendo apertamente guerra economica alla Cina, hanno accelerato il processo già in atto, di conversione economica della Cina stessa da “fabbrica del mondo” ad unità quanto più possibile autosufficiente a livello economico;

– in questa situazione l’UE (in particolare la Germania) è palesemente il vaso di coccio circondato da vasi di ferro in quanto:

a) priva di una base industriale moderna (la rivoluzione digitale nel vecchio continente è ancora al di la da venire);

b) priva degli strumenti istituzionali e della classe dirigente necessari a cambi di passo radicali;

– la ridefinizione delle filiere industriali all’interno del mercato unico europeo, che ha azzerato l’indipendenza e la concorrenzialità dell’industria italiana rispetto alle altre economie sviluppate del continente – Francia e Germania –, ha posto la classe lavoratrice italiana in condizione di estrema precarietà. Le sue “fortune” sono legate a quelle della produzione tedesca, di cui ci siamo ridotti a subappaltatori, a sua volta legata all’andamento del ciclo economico dei mercati globali. Andati in crisi irreversibili questi ultimi, come in un domino, la crisi ha rapidamente investito tutti i livelli del sistema.

A nostro avviso non c’era dunque alternativa praticabile alla rocambolesca crisi che ha portato alle dimissioni dell’esecutivo Conte, al massimo la stessa poteva consumarsi con toni meno farseschi.

La tragedia, comunque, con tutta probabilità sarà a carico del nuovo governo o di quello che ne raccoglierà il testimone. La data di scadenza del Conte bis, ammesso che riesca a nascere, difficilmente coinciderà con quella dell’attuale legislatura visti i troppi nodi e le contraddizioni in agenda:

– l’escalation della guerra commerciale USA – Cina;

– l’apertura evidente, da parte statunitense, di un fronte di guerra commerciale con la UE;

– il reiterarsi di un conflitto su larga scala tra Israele e l’universo islamico sciita;

– una Brexit senza un accordo o con un accordo particolarmente svantaggioso e umiliante per la Gran Bretagna;

– l’acutizzarsi delle contraddizioni in seno alla UE, che dovrà legittimare una Germania che farà deficit pubblico per sostenere i propri campioni industriali nazionali, vietando al contempo che quegli stessi deficit siano operati da altri paesi, Italia in testa (6);

– ultimo ma non per importanza, lo stato di salute del sistema bancario tedesco (7).

Ammettendo comunque che il precario equilibrio globale di queste settimane riesca, senza eccessivi scossoni, a perpetrare se stesso, almeno per gli sfruttati italiani il destino pare già segnato, ovviamente a tinte fosche.

Mentre in Germania si paventava l’ipotesi sempre più reale di un allentamento dei cordoni della borsa pubblica per porre in essere quegli investimenti essenziali – che i capitali privati non intendono fare – per salvare l’industria dall’obsolescenza e quindi dal declino definitivo, in Italia, l’attuale presidente della CONSOB, Paolo Savona, proponeva alla platea di Comunione Liberazione un nuovo “patto sociale” per rilanciare gli investimenti – anche qui pubblici in vece e a sostegno del privato che non impegna un euro – a scapito del welfare pubblico (8).

C’è da stare certi che una simile proposta a Bruxelles e Berlino sarebbe probabilmente accolta con il sorriso e, dato il clima emergenziale con cui ogni questione è narrata e affrontata, probabilmente finirebbe per essere digerita ancora una volta da un corpo sociale sempre più disorientato e annichilito da paure che la propaganda modella su forme sempre più ancestrali.

Note

(1) Unica eccezione, al momento, questa: http://www.laboratorio-21.it/il-fallimento-del-m5s-e-il-ritorno-del-centro-sinistra/

(2) Almeno con modalità e tempi che stiano dentro i trimestrali delle quotazioni di borsa, situazione che in parte crediamo spieghi perché il risparmio privato italiano, quello delle “famiglie”, quantificato in 4000 miliardi di euro circa, sia stato intaccato relativamente, ma data la propria entità continui a restare nel mirino degli interessi tutelati dalle istituzioni comunitarie europee.

(3) http://contropiano.org/news/news-economia/2019/08/20/germania-in-recessione-la-strada-stretta-di-berlino-0118162

(4) https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-altro_che_crisi_in_italia_la_partita_si_gioca_tra_pechino_washington_e_berlino/29296_30176/

(5) Che sta prendendo una forma molto simile al confronto tra imperi dell’epoca compresa tra il 1870 e il 1914 e che ebbe conclusione nefasta nella Prima Guerra Mondiale.

(6) Nello specifico pare che i trattati europei ci avessero già visto lungo. Pare, infatti, che la burocrazia UE consenta a un paese di sforare il vincolo del 3% nel rapporto deficit/PIL se il paese che opera lo sforamento ha un debito pubblico che non supera il 60% del PIL, guarda caso la situazione esatta della Germania.

(7) Se dovessero saltare a seguito di qualche shock sistemico i bilanci di Deutsche Bank e CommerzBank è certo che la Germania non avrà alcun modo per varare l’ambiziosa politica di rilancio della propria industria attualmente al vaglio del governo tedesco, perché i surplus di bilancio accumulati nel corso dell’ultimo decennio, andrebbero tutti spesi per tenere in piedi il sistema bancario.

(8) https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/08/20/savona-consob-draghi-fece-il-qe-troppo-tardi-ora-riprogrammare-il-bilancio-dello-stato-stop-a-sanita-gratis-per-chi-puo-pagare/5397515/