L’ultimo libro di Manlio Calegari è uno strano oggetto letterario. Sembra un saggio ma, molto probabilmente, è un romanzo.
E’ un racconto, sotto forma di diario, scritto dalla laureanda Felicita Pessina, studentessa di storia all’Università di Genova, in un biennio cruciale della storia recente: il 1990-1991.
Felicita è inserita in un gruppo di ricerca sulla storia orale sulla Resistenza in Italia ed è incaricata di intervistare Alba, un partigiano di Santa Margherita che lei considera un vero e proprio nonno. Il racconto si interseca con una situazione famigliare tutta particolare in cui Alba funziona da figura paterna in una famiglia di sole donne, in cui la politica e la storia sono un sottofondo che non viene, tuttavia, neppure sfiorato nei discorsi famigliari.
A fare da sfondo reale del racconto è il periodo storico in cui si svolge la ricerca. Nel 1989 cade il muro di Berlino, scoppia la guerra in Iraq, si sviluppa la guerra in Jugoslavia, ci sono i disordini di Tien An Men. In Italia gli studenti danno vita al breve fenomeno della Pantera studentesca.
Felicita, con il suo fidanzato Andre e i colleghi universitari è partecipe di un mondo in cui si prova a stare dalla parte giusta di una storia che ha una accelerazione ma i cui contorni non sono per niente precisi. Questo non può fare a meno di riverberarsi nei colloqui che Felicita ha con Alba, partigiano socialista, ex dipendente del Cantiere di Santa Margherita, e con il gruppo di compagni che lo circondano nel suo ritrovo nella città della Riviera Ligure.
In tutta la prima parte del libro, Alba e i suoi compagni mantengono uno stretto riserbo. Una reticenza che colpisce Felicita alle prese con un racconto che non decolla. Nel frattempo i racconti prendono vie traverse. Cosa pensare di Saddam Hussein e dell’invasione del Kuwait? Certo, una guerra per il petrolio, ma si può veramente stare dalla parte dell’Iraq visto che, addirittura, la morente URSS sta con gli Stati Uniti? E la Jugoslavia? Certo, per i compagni e per Alba il socialismo in quel paese era considerato buono, ma come giustificare le violenze e gli stupri etnici di cui i giornali e le televisioni raccontano? Una ragazza dell’Università che prova in maniera ideale a stare dalla parte dei deboli e degli sfruttati non può altro che appendere in camera il poster con il manifestante che blocca il carro armato in Piazza Tien An Men, non può fare altro che partecipare alle riunioni universitarie per chiedersi come interagire con le mobilitazioni della Pantera, senza però cavare un ragno dal buco.
Erano anni in cui si credeva davvero che la ricostruzione di un pensiero alternativo potesse passare dalla satira di Michele Serra e del giornale Cuore.
Nel chiedere ad Alba, in maniera quasi ossessiva, le ragioni di una scelta compiuta più di 40 anni prima, Felicita cerca le risposte alle sue scelte di oggi, che non possono che essere scelte ideali.
A poco a poco, la reticenza di Alba, complici i compagni del ritrovo, si fa meno aspra. Ma non sono risposte soddisfacenti. Il racconto procede per piccole rivelazioni che non dipanano i motivi reali. Salivano in montagna senza sapere il perché? Non erano spinti da nessuna motivazione politica reale, se non il rifiuto di un presente in cui erano tutti, volenti o nolenti, immersi?
Che guerra era? Non era una guerra civile, perché ci avevano detto di non chiamarla così per non dare troppa importanza ai fascisti, dice a un certo punto un partigiano.
Alla fine, il velo cade attraverso i racconti di un gruppo di abitanti in un paese dell’appennino ligure. Il paese dove fu fondata la Brigata guidata da Aldo Gastaldi. A questo punto, Felicita scopre che la Resistenza e le Resistenze non sono fenomeni meramente ideali ma concreti, reali e dolorosi.
Che l’ideale è la base di partenza ma poi subentra la concretezza della lotta. E che i partigiani che per primi erano saliti in montagna poco sapevano del fascismo, ma hanno dovuto impararlo in fretta. E che stare dalla parte giusta della storia implica scelte dolorose e difficili anche solo da ricordare. È un qualcosa che non può fare a meno di ferirla, ma che probabilmente le servirà a crescere e capire qualcosa di sé e del suo/nostro presente.
Collettivo Comunista Genova City Strike-NST