Dopo 130 anni di storia là Compagnia Portuale Pietro Chiesa si scioglie. I 20 portuali verranno assorbiti dalla storica CULMV e oggi si vedranno manifestare al fianco di tutti i Portuali allo sciopero nazionale di 24h dopo le ripetute violazioni da parte degli armatori, assieme alla complicità dei padroni terminalisti, delle leggi che regolamentano la manodopera a bordo delle navi dei Porti italiani. Questo frutto anche di una campagna europea contro il “self-handling” portata avanti dai sindacati europei. I Compagni del Collettivo Autonomo Lavoratori del Porto saranno sui varchi a dar voce alla Piattaforma su cui da mesi lavorano per portare la voce di chi tutti i giorno vive, lavora e combatte nel Porto; questa piattaforma è stata scritta a più mani proprio per essere il più condivisa dai lavoratori dei Terminal, ai lavoratori della Compagnia, a chi ancora oggi all’interno del Porto, pur facendo lavori portuali, non ha il contratto Unico dei Porti. Immagini e testo dal Corteo
Testo del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali
Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali.
Siamo di fronte ad un nuovo attacco al mondo del lavoro.
L’atteggiamento spregiudicato della nuova classe dirigente a capo dei terminal del nostro porto dimostra chiaramente la volontà di deregolamentare ulteriormente il mondo del lavoro “sul fronte mare”.
Contratti di inserimento a chiamata, o contratti part-time stagionali a chiamata, richiesta declinare l’orario di lavoro in funzione dell’orario di arrivo delle navi, sono l’ennesimo attacco al mondo del lavoro, che cerca di demolire i vecchi contratti inserendo queste nuove formule di assunzioni e dove la flessibilità viene spinta al massimo.
La stessa vicenda della Pietro Chiesa risulta in altro modo inquietante, visto il “muro contro muro” senza un minimo di spiegazione logica, se non quella di intimare all’impresa che si era proposta di assorbire il personale della stessa, di metter in pari il bilancio, attualmente in rosso, a causa dei mancati pagamenti, proprio delle aziende che urlavano allo scandalo. L’intento di questi “signori” era creare un altro bacino di lavoro precarizzato (operante in Art.16 ) in concorrenza con l’articolo 17 e indebolire ulteriormente un impesa di fornitura di lavoro in difficoltà alla minaccia della precarietà si aggiunge quella della automazione, di cui sempre più spesso si sente parlare ma che ancora non abbiamo visto, per fortuna.
Alla politica chiediamo cosa abbia in mente di fare al riguardo, perché da un lato abbiamo i “robot” che vogliono sostituire le persone, dall’altro abbiamo un modello d’orario che risale a circa a 60 anni fa, ricordando che l’Italia è tra i paesi dove si lavora di più, come orario di lavoro settimanale effettivo, in Europa.
Ci domandiamo se coloro che stanno spianando la strada all’automazione si stiano chiedendo chi pagherà le tasse e i contributi di coloro che verranno sostituiti dalle macchine, perché le aziende che implementeranno con mezzi automatizzati non lo faranno nell’ottica di alleggerire il carico di lavoro al personale ma di risparmiare sul personale, aumentando la produttività ed implementando il tasso di sfruttamento della manodopera rimanente, e proprio per questo siamo a degli snodi cruciali che non sono trascurabili.
A questo si aggiunge un problema sempre più quotidiano, l’autoproduzione sulle navi, banchine ed aree portuali, su cui deve esserci un controllo dalle autorità competenti, soprattutto per il rispetto delle leggi, delle norme inerenti alla sicurezza e alla tutela della salute dei lavoratori nei siti in cui operano.
Per questo e non solo i lavoratori del Porto di Genova chiedono:
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L’adeguamento dell’orario settimanale di 32 ore a parità salariale
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Divieto dell’autoproduzione (navi, banchine, aree portuali)
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Normare l’automazione favorendo la diminuzione dei carichi di lavoro
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Formazione professionale adeguata e certificata per tutti coloro che operano nelle aree portuali
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Per una pianta dell’organico portuale
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Un concreto passo contro la precarietà per i neo-assunti in tutto il porto
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L’inserimento del lavoro portuale nelle categorie di lavoro usuranti.
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Un contratto unico per tutti i lavoratori della “filiera” Container.
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“ Non nel mio nome..” … i lavoratori si schierano contro tutte le guerre condannando l’uso delle banchine per l’approvvigionamento degli arsenali militare nei vari scenari di guerra
Foto dal corteo