Appuntamento sabato 28 gennaio a Roma, ore 10.00 presso cso Intifada, via Casalbruciato 15 (zona Tiburtina)
1) La globalizzazione liberista ha distrutto diritti e conquiste sociali di decenni in Europa e ora minaccia la democrazia e le costituzioni antifasciste. Essa ha operato con precisi strumenti di potere, che sono diventati ancora più oppressivi con la crisi economica e con la politica di guerra permanente scatenata da trenta anni dagli USA e dai governi occidentali. Nonostante questo, la rottura con Euro, UE e NATO non è finora stata una discriminante della politica italiana. La destra populista si dichiara contro l’Euro e non contro la UE nè tantomeno contro la NATO. La sinistra radicale è contro la NATO, ma non contro l’euro e la UE . Il PD e Forza Italia sono a favore di tutto, il M5S con le sue ultime scelte di collocazione europea, poi saltate, non pare avere posizioni definite. Un No coerente e comune a Euro UE NATO continua ad essere assente dalla scena politica italiana come dimensione organizzata.
2) Le lotte ed i movimenti sociali non hanno mai assunto coerentemente sinora questi tre NO, Euro UE NATO, nella migliore delle ipotesi li hanno dati per scontati come premessa o come conseguenze dei conflitti, ma non li hanno mai assunti direttamente. Questo ha spesso reso più deboli i movimenti nella individuazione dell’avversario. Che invece ha sempre manovrato a tutto campo, usando tutta la filiera del potere per affermare i propri interessi e la propria egemonia. Il fatto che ogni lotta importante ad un certo punto si misuri con la rigidità di un sistema che non ammette mediazioni e che ogni volta si trincera dietro l’impossibilità delle alternative, finora ha permesso al sistema stesso di vincere i conflitti o di isolare le resistenze più tenaci e forti.
3) Il referendum costituzionale per la prima volta da molto tempo ha portato alla sconfitta l’establisment sul terreno sul quale in Italia finora aveva sempre vinto: quello delle riforme liberiste. La vittoria del No alla controriforma della costituzione mostra che anche in Italia ha acquisito forza la cosiddetta onda populista, cioè il rigetto della globalizzazione, dei suoi effetti sociali e il rifiuto delle elités che dalla globalizzazione traggono profitto e potere. Il No è stato una domanda di giustizia sociale che per ora non ha alcuna risposta, anzi alla quale le risposte finora date sono tutte fondate sulla riconferma delle politiche della globalizzazione liberista.
4) Per la prima volta da tempo esistono lo spazio oggettivo e le condizioni soggettive perché la rottura con Euro UE e NATO, intese come rotture con la forma specifica e immediata assunta dal dominio della globalizzazione sulle classi subalterne del nostro paese, possano acquisire un consenso di massa. Lo stesso schieramento di tutte le istituzioni europee ed occidentali per il Si al referendum, con il suo scarso peso nel voto, dimostra che questo spazio oggi esiste, anche se non è detto che duri per sempre. Sostanzialmente si può affermare che il blocco sociale, politico e culturale che sostiene la globalizzazione ed i suoi strumenti europei è oggi minoranza, o comunque in forte crisi di egemonia.
5) La gravità e la durata della crisi economica hanno indebolito tutte le risposte dirette ai suoi effetti. Siamo stati abituati alla coerenza tra modo di pensare delle classi subalterne e loro modo d’agire. Cioè quando queste classi non lottavano esprimevano anche un certo consenso al sistema, mentre quando contestavano direttamente la loro condizione assumevano anche un punto di vista critico più generale. Oggi non è così. La crisi costringe ad accettare condizioni di sfruttamento e di oppressione sociale, di perdita di libertà, senza che queste siano condivise sul piano generale. Anzi proprio la rabbia per la condizione materiale che si subisce alimenta il rifiuto, ma solo a livello politico generale, del sistema. Questo apre lo spazio anche a forze ambigue o apertamente reazionarie, che possono trarre vantaggio dalla passività sociale delle masse.
6) Siamo quindi di fronte ad un rifiuto distorto e contraddittorio del sistema da parte di classi subalterne che in gran parte ne subiscono ed accettano gli effetti sulla vita quotidiana, ma che allo stesso tempo investono appena possono nella speranza di un rovesciamento politico che cambi le cose. Questo è il terreno sul quale fanno presa le forze che propongono facili e brutali soluzioni, o affidando tutto ad un leader, o proclamando la lotta alla corruzione e alla casta politica come soluzione di tutti i mali, o dirottando la rabbia sociale verso i migranti e solo per questa via alle istituzioni europee e sovranazionali. E tuttavia questo dissenso politico di massa verso il sistema e le sue élites, per quanto contraddittorio, è oggi il primo punto da cui partite per qualsiasi progetto di cambiamento reale.
7) Si amplia così la contraddizione tra la domanda di massa di cambiamento economico e sociale e il fatto che tutte le risposte di cambiamento politicamente “utili”, in realtà finiscano per adattarsi al sistema dominante. Questo produce il meccanismo della delusione di massa periodica e ricorrente, con il progressivo logorarsi delle stesse basi della democrazia liberale. Che viene sottoposta a un doppio stress: da un lato per la sua sottomissione alla governance dell’ordoliberismo, dall’altro per la contestazione da parte di forze apertamente reazionarie. Il rischio è quello di una continua regressione in senso autoritario, col continuo rafforzamento delle diseguaglianze sociali, contrastata da rivolte democratiche che la interrompono per un momento, ma poi non la fermano.
8) Di fronte a questa crescente critica e al rifiuto politico del sistema, le risposte delle sinistre e del mondo sindacale confederale sono inesistenti o negative. Le forze di centrosinistra di derivazione socialdemocratica si sono sottomesse alla globalizzazione, pensando di condizionarla, ed ora ne sono assorbite e non a caso vengono identificate come parte dell’establishment. Esse sono diventate semplicemente forze liberali, espressione dell’ideologia del capitalismo compassionevole. I grandi sindacati confederali europei, pur critici a parole della globalizzazione, ne sono complici con la totale adesione alla “governance” della UE e con la pratica concreta della propria azione, con la politica della collaborazione con le imprese e della riduzione del danno. Pratiche che alimentano la passività sociale e quindi, il dislocarsi del mondo del lavoro, degli operai in primo luogo, nel campo della protesta politica senza dimensione sociale.
9) Le tradizionali sinistre radicali in Europa non sono riuscite sinora a costruire un’alternativa a quelle socialdemocratiche e alla fine vengono coinvolte e travolte dal loro fallimento. La resa di Tsipras e di Syriza alla Troika ha distrutto una occasione storica della sinistra radicale di costruire un’alternativa alla socialdemocrazia in grado di competere con il populismo di destra. Ora le sinistre radicali europee nella loro maggioranza stanno rifluendo verso un sostegno critico alle socialdemocrazie, cioè marciano verso la propria ininfluenza nell’ambito di un fallimento. Altre forze invece rifiutano di accodarsi alle socialdemocrazie, ma fuggono dalla realtà della politica rifugiandosi nella predicazione della rivoluzione mondiale come unica soluzione. Questa fuga nella palingenesi totale a volte poi copre opportunismi molto concreti nella pratica quotidiana.
10) Tutte queste tendenze stanno maturando una condizione politica per cui in Europa, e negli Stati Uniti, il conflitto e l’alternanza di governo siano sempre di più tra due destre, quella tecnocratico finanziaria liberale e quella populista reazionaria. Gran parte del centrosinistra neoliberale è oramai assorbito nella dialettica e nel conflitto tra queste due destre, cioè non esiste più come forza realmente indipendente. Questo non è solo un danno per le forze e le persone che ancora alla sinistra si richiamano, ma per le stesse prospettive delle nostre società, dal cui confronto politico sono cancellate l’eguaglianza sociale ed il socialismo. Nella storia umana recente questa catastrofe della sinistra ha un solo precedente: la resa e l’appoggio delle socialdemocrazie europee alla prima guerra mondiale.
11) Contro la governance europea stanno oggi alcuni partiti comunisti, forze sindacali antagoniste in minoranza rispetto al sindacalismo confederale, organizzazioni e movimenti politici e sociali territoriali. Queste forze sono normalmente ignorate dal sistema mediatico e culturale dominante, che ha scelto di presentare come sola opposizione al sistema di potere europeo il populismo. Senonché sotto questo termine compaiono forze di segno ed orientamento diverso. Il partito lepenista in Francia, il M5S
In Italia, Podemos in Spagna si collocano su diverse aree e orientamenti da destra a sinistra e non possono essere considerati come un unico fronte populista, come invece fa il palazzo della politica. Questi diversi movimenti mostrano anzi che la spinta critica verso il sistema di potere può volgersi in diverse direzioni e che questo dipende anche dalla capacità delle forze antagoniste e anticapitaliste, che assieme possono ancora pesare, di misurarsi e confrontarsi con la ribellione populista. Il che però richiede come premessa di rompere totalmente con il sistema di potere politico e sindacale e con le forze del centrosinistra neoliberale.
12) Il riformismo storico del movimento operaio, il gradualismo nei miglioramenti è morto. Oggi riformismo è solo adattamento al peggioramento. Oggi in Europa il riformismo è diventato l’ideologia del liberismo e la cultura politica delle elites e dei mass media da esse guidati. Il cambiamento progressista non può essere politicamente riformista, ma può avvenire solo con la rottura con il e del sistema di potere. Costruire questa rottura e la conseguente alternativa è il solo compito che giustifichi e dia senso ad una rinnovata sinistra anticapitalista sociale e politica. Ogni altra scelta significa condannarsi o ad un ruolo da Testimoni di Geova del socialismo, o all’annullamento nel riformismo complice delle destre.
13) La rottura deve avere obiettivi politici determinati, come sempre è stato per ogni cambiamento e processo rivoluzionario. Quindi la rottura con Euro UE NATO non è solo costituente di una posizione politica, ma un obiettivo reale che bisogna avere il coraggio di dichiarare non solo necessario, ma possibile. Occorre cioè pensare alla rottura come obiettivo di transizione, come passaggio verso un nuovo sistema economico e politico, che non è ancora socialista, ma che non è più quello ordoliberista. La rottura ha il compito di mettere in connessione le lotte con un obiettivo politico generale unificante. La rottura punta alla regressione della globalizzaIone, per far avanzare di nuovo una democrazia fondata sulla eguaglianza sociale. Nel referendum costituzionale abbiamo misurato il contrasto strategico tra la Costituzione del 1948 e la governance europea e occidentale. Bisogna agire su questo contrasto e trasformarlo in rottura politica : o la Costituzione antifascista, o l’Euro, la UE, la Nato.
14) Non bisogna aver paura di affermare che la rottura punta alla sovranità democratica e popolare del nostro paese. Non possiamo sincronizzare gli orologi con gli oppressi di tutta Europa ed aspettare l’ora nella quale si ribelleranno tutti assieme. Dobbiamo provare ad organizzare la rottura qui ed ora. All’obiezione sui rischi di nazionalismo bisogna rispondere che ogni comunità corre questo rischio, che va combattuto con l’ampliamento della democrazia e della eguaglianza. E soprattutto mantenendo una dimensione ed una prospettiva internazionale della liberazione dal capitalismo liberista. Bisogna avere fiducia nel fatto che ovunque si produca la rottura, essa si estenderà per contaminazione. Se un popolo rompe con Euro UE NATO, altri i popoli imporranno scelte analoghe. La rottura è riconquista di democrazia, potere popolare, eguaglianza sociale, ovunque si avvii poi si diffonderà
15) La scelta della rottura con Euro, UE, NATO e con tutte le forze che le sostengono è la premessa costituente di un programma progressista che riapra la via al socialismo. Essa quindi deve diventare il punto di partenza comune di tutte le forze che concorreranno a formate un fronte sociale e politico. Una volta assunta questa rottura, la costruzione e la pratica realizzazione del fronte e del programma sarà fondata sul confronto e sullo spirito unitario. Ogni settarismo tra forze che abbiano acquisito questo comune punto di partenza è dannoso e per questo andrà contrastato ovunque con la massima fermezza.
16) La scelta di fondo è coniugare ed incrociare il conflitto di classe con quello contro l’esclusione prodotta dall’ordoliberismo. Costruire il fronte sociale degli sfruttati e degli esclusi, un fronte potenzialmente maggioritario, deve essere l’obiettivo. Questo fronte è lo strumento per combattere la persecuzione e lo sfruttamento schiavistico dei migranti. Per costruire la solidarietà di tutti gli oppressi, nativi e migranti, contro la guerra tra poveri alimentata dal potere e usata per i propri fini dal fascismo xenofobo.
La rottura con Euro UE NATO finora ha vissuto solo nel confronto e nel dibattito politico di una parte dei militanti della sinistra di classe e antagonista, ora deve entrare nella dimensione delle lotte reali, deve essere una campagna permanente e di massa che giunga a porre l’obiettivo della rottura all’ordine del giorno di tutti i conflitti.