Da ieri la città di Genova ha, formalmente, una maggioranza del tutto simile a quella nazionale. L’approvazione della legge di bilancio del Comune è passata grazie a provvidenziali assenze nei banchi dell’opposizione e al voto favorevole di un consigliere di Forza Italia che segue le orme di coloro che, a livello nazionale, sostengono il Governo Renzi.
La Giunta di Marco Doria è un morto che cammina ma occorre segnalare come da ieri sia tutto più chiaro e limpido.
Fin dall’inizio, l’esperimento arancione genovese aveva mostrato di che pasta era composto. Un Sindaco ignaro di tutto che sembrava muoversi come un marziano sostenuto da una larga fetta di quella che ci si ostina a chiamare sinistra. Già nella campagna elettorale non si capiva per quale motivo i lavoratori e i cittadini di sinistra dovessero votare questo Sindaco e questa giunta. L’ambiguità era la cifra di un programma che aveva però convinto i pezzi grossi della sinistra cittadina, alcuni sindacalisti disperati e parecchie associazioni desiderose di spartirsi pezzi di una torta sempre più piccola ma comunque appetitosa. L’appeal del Sindaco tra i proletari era ben rappresentato dal fatto che al secondo turno solo il 24% dell’elettorato attivo lo aveva sostenuto.
Terminata la sbornia elettorale si è cominciato a far sul serio con il PD che comandava le operazioni. L’unico concetto chiaro da subito è stata la fedeltà del Sindaco sul tema delle privatizzazioni, sul sostegno alle grandi opere come il Terzo Valico e sull’incapacità di accettare ogni confronto politico.
Mentre il Sindaco veniva travolto dalle lotte di AMT, AMIU e ASTER (le partecipate pubbliche), la parte sinistra della sua giunta lo difendeva balbettando scuse o indignandosi per l’atteggiamento antidemocratico delle lotte sociali. Si arrivava subito al paradosso di vedere gli stessi sindacalisti che si facevano fotografare con il candidato qualche mese prima costretti a stare in prima fila in lotte spinti dalla rabbia dei lavoratori.
L’ignavia del Sindaco si spingeva sempre più stancamente fino alle lotte dell’ILVA. Anche in questo caso le porte del Comune erano sbarrate (non solo metaforicamente) e la maggioranza rimaneva compatta nel denunciare la maleducazione dei lavoratori.
Nel frattempo, una parte della Sinistra che continuava a sostenere il Sindaco pensava bene di formare un’alleanza per le elezioni regionali chiamata RAS (Rete a Sinistra). Mentre si criticava il PD (durante le comparsate elettorali nelle tivù locali) si continuava a sostenere una giunta totalmente succube ai voleri del partito maggioritario.
Con il voto recente cade quindi una maschera che agli occhi dei soggetti sociali meno compromessi era già ampiamente caduta. L’idea di governare la città con iniziative culturali di buon livello o annunciando corrette riforme civili di stampo laico mentre in politica o in economia si applicano le peggiori ricette economiche dei padroni, non poteva reggere oltre.
Oggi Genova è finalmente in linea con quel Partito della Nazione che governa l’Italia e gli enti locali facendosi dettare la linea dai poteri della UE. La Giunta Doria diventa formalmente di centro destra ma lo era già politicamente. Ce ne faremo una ragione, come ci faremo una ragione del fatto che la vecchia sinistra genovese ha sostenuto e continua in gran parte a sostenere, a dispetto di ogni evidenza, che quello fosse un esperimento virtuoso e replicabile.
Rimane il fatto che, in assenza di una sinistra di classe tutta da ricostruire, il disastro gioca a favore del movimento 5 stelle e, se va male, a favore della destra e della Lega Nord pronti a giocare il ruolo del partito dei subalterni. Più che una prospettiva, è un incubo che ci chiama a una responsabilità politica di ricomposizione che non possiamo più rimandare.