Quando, al termine dei cortei contro la guerra di Roma e Milano, ci siamo girati a controllare e a verificare i numeri reali, abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Al di là del coraggio e della determinazione degli organizzatori, il rischio flop era dietro l’angolo.
Al mattino, l’unico quotidiano che dava la notizia dei cortei era il Manifesto che, nei giorni precedenti, non aveva scritto una riga. Per il resto, il solito silenzio tombale. I cittadini che, durante le passeggiate in centro del sabato pomeriggio, osservavano il corteo lo facevano con stupore, come una cosa inattesa.
Per una manifestazione indetta a metà novembre, con in mezzo la pausa delle vacanze natalizie e costruita con il solo contributo militante della neonata rete Eurostop, aver portato circa 10 mila persone in piazza contro la guerra è un grande successo.
Certo, i numeri in assoluto non spostano di una virgola il fatto che siamo in una situazione oggettivamente difficile, di minoranza. Sono lontani anni luce i periodi del 15 ottobre del 2011 o quelli della due giorni del 18 e del 19 ottobre del 2013. Nel frattempo i movimenti di lotta si sono ritirati e nessuna manifestazione ha ottenuto numeri in assoluto buoni. Neppure la super pubblicizzata manifestazione della FIOM a ottobre, nonostante la superstar Landini, ha superato una soglia critica di partecipazione sufficiente.
Come giustamente sottolineato, si è provato a rompere l’inerzia e lo si è fatto con grande coraggio. Si è trattato di manifestazioni di militanti ma non può essere altrimenti visto il totale filtro della censura che è stato calato sulla mobilitazione. Questo ha fatto sì che i cortei fossero comunque molto coesi dal punto di vista politico e molto combattivi.
La chiamata alla mobilitazione parlava di 25 anni di guerra. Da quei giorni in cui si cominciarono gli attacchi contro Baghdad nel 1991 fino ai giorni nostri, alla Siria, all’Iraq, allo Yemen, alla Turchia, all’Afghanistan, alla Libia e al Mali. Venticinque anni vissuti in Italia mentre la sinistra di classe si ritirava nonostante il dispiegarsi della guerra interna nei paesi imperialisti contro i lavoratori. Venticinque anni in cui l’UE mostrava il suo volto imperialista schiacciando lavoratori ovunque, costringendo tutti i paesi d’Europa a una feroce ristrutturazione capitalista. In cui la NATO continuava ad agire incontrastata sugli scenari internazionali. Venticinque anni in cui la situazione si è fatta via via più feroce a causa della crisi che oramai da dieci anni non accenna a mollare la propria presa sul mondo.
In questo senso, la chiamata ad una lotta contro la guerra ma soprattutto contro gli strumenti che essa si dà, NATO e Unione Europea in particolare, permette di chiudere un cerchio in cui è possibile vedere come la crisi economica, le ristrutturazioni interne, i sacrifici richiesti ai lavoratori e la forma di guerra stanno assieme. Come è già successo in passato.
Aver colto questi nessi che permettono di avere una visione di classe contro la guerra e non una pura visione geopolitica è quindi il principale risultato del progetto di piattaforma sociale Eurostop. E’ un successo che per il momento va rivendicato come positivo e incoraggiante. Si tratta di un primo passo a cui ne dovranno per forza seguire altri.
Crediamo che occorra a questo punto portare questi temi nei singoli territori consci che senza chiarezza su alcuni punti non è possibile alcuna forma di ricomposizione. Questi punti sono:
1) Nessuna ambiguità sul ruolo nefasto della UE e dei trattati. Lotta contro l’Unione Europea e contro l’Euro come strumento del dominio neo liberista
2) Nessuna illusione su una prospettiva neo socialdemocratica o neo keynesiana neppure dopo aver abbandonato la moneta unica
3) La consapevolezza che non siamo isolati nel mondo. Pur con tutte le difficoltà esistono fronti di resistenza nel mondo (in America Latina per esempio, in Turchia, in medioriente e in Europa) che si muovono, pur contradditoriamente e con difficoltà, nella stessa direzione
4) Mantenimento di una impostazione di classe nell’analisi internazionale e necessità di combattere prioritariamente l’imperialismo più vicino
Sappiamo che si tratta per il momento di una battaglia di minoranza ma non minoritaria perché potenzialmente in grado di parlare a milioni di persone. Si tratta comunque di una battaglia difficile perché i compiti sono immensi e soprattutto perché si tratta di aprire una navigazione lunga senza facili approdi in tempi brevi. Per quel che ci riguarda siamo contenti di aver spinto per la nascita di Eurostop e per il successo della manifestazione. Nel momento in cui riportiamo il tutto a casa siamo convinti che affrontando con chiarezza i temi politici come si è fatto fino ad ora, il compito della realizzazione di un fronte di classe organizzato contro la guerra interna ed esterna, contro l’austerità, contro l’Unione Europea e l’Euro, contro la NATO è possibile e auspicabile. Ed è l’unica possibilità per provare ad uscire da un’impasse in cui ogni tentativo solitario è costretto ad arenarsi. D’altra parte come sosteniamo da tempo…divisi non siamo niente, ma uniti ed organizzati Noi Saremo Tutto.