Il segretario della FIOM Maurizio Landini, subito sconfessato dai vertici della Cgil, ha lanciato l’idea di una coalizione sociale che dovrebbe opporsi al Governo Renzi e al PD. L’idea non è esattamente nuova e parte da una serie di situazioni precise. Mentre il segretario FIOM lanciava la sua proposta il sindacato metalmeccanico era impegnato in diverse vertenze in tutta Italia: da un lato grandi resistenze alle delocalizzazioni e alle chiusure dei siti produttivi dall’altro una serie inarrestabile di sconfitte più o meno fragorose.
In tutta Italia la FIOM è il pezzo di sindacato confederale più amato dai suoi iscritti ed effettivamente è quello che sembra svolgere meglio il suo lavoro di resistenza. Nulla a che vedere con il resto della Cgil o con i sindacati gialli: la FIOM resta un punto di riferimento perché lotta spesso duramente e ascolta i lavoratori. Detto questo, sono anni che il sindacato metalmeccanico arretra e non riesce a cogliere nessuna vittoria perché politicamente e sindacalmente isolato. Che questa situazione non possa reggere Landini lo sa e mette quindi in campo una strategia per invertire la rotta. Bisogna però chiedersi se la strategia ha un senso e può portare risultati.
La via maestra
Qualche tempo fa la FIOM decise di lanciare una iniziativa dal titolo La Via Maestra con manifestazione nazionale a Roma. Landini si era accordato con pezzi di associazionismo di sinistra e con alcuni intellettuali delusi dal proprio partito di riferimento (il PD) e aveva scelto come tema la difesa della Costituzione. Partire da un testo che negli anni era già stato stravolto e che non è mai servito a bloccare nessuna iniziativa dei potenti (dalle guerre alla distruzione dei diritti di chi lavora) non ci sembrava una grande idea: aldilà della propaganda giornalistica quell’iniziativa si rivelò un flop colossale con una marcia di poche migliaia di persone senza l’intervento di nessun soggetto sociale reale. Oggi gli interlocutori privilegiati di Landini sembrano essere gli stessi: che ci sia l’intenzione di fare il bis?
I lavoratori contro Renzi
Renzi è il rappresentante di un partito (il PD) che è schierato decisamente dalla parte dei padroni. Il nemico non è lui, lui rappresenta il nemico. Questa distinzione va fatta per evitare di replicare battaglie nominali che da un lato possono servire per focalizzare l’obiettivo ma dall’altro servono a salvare un sistema politico che poi è pronto immediatamente a riprendere il suo cammino. Il PD ha infatti scelto fin dalla sua nascita di rappresentare gli interessi di quel pezzo di borghesia europeista che ha tutto da guadagnare dalla crisi e dai suoi effetti sui paesi dell’Unione Europea. La guida tedesca è una assicurazione per quella parte di padroni che stanno aumentando a dismisura i profitti mentre vengono travolte fasce intermedie di borghesia e i lavoratori. Questo gruppo di potere guida i paesi europei, ha in mano le leve del potere e dell’informazione e non esita a strangolare ogni pur timido tentativo di resistenza come si vede bene con la vicenda Syriza. Questo potere oggi è incarnato da Renzi ma in realtà si basa su un interesse di classe che non esiterà a cambiare il proprio rappresentante quando sarà necessario. Per combatterlo non è utile creare coalizioni intellettuali che hanno come unico collante la battaglia contro il presidente del consiglio ma occorre creare una coalizione di classe (lavoratori e sfruttati contro i padroni) che raggruppi i soggetti sociali colpiti dalla crisi e individui il nemico. Quando Landini parla dei lavoratori, intende questo?
Fuori dal meccanismo imperialista europeo
Mentre si parla di coalizione sociale, la Grecia sta affrontando con Syriza le difficoltà del post vittoria elettorale. Su queste difficoltà siamo già intervenuti. La contraddizione che emerge con il risultato elettorale greco sta per infrangersi su un muro che sembra invalicabile. Le tenaglie della Trojka (o di come la si vuol chiamare) sembrano stringere sempre di più. Eppure, nonostante le divergenze politiche non possiamo non notare come Syriza o Podemos rappresentino comunque fenomeni interessanti in cui l’idea di coalizione sociale originaria era l’unità dal basso dei soggetti sociali. Questi movimenti (prima di trasformarsi in partito) partivano dall’unione di soggetti legati al mondo del lavoro uniti a soggetti conflittuali. Le pratiche sociali che stavano dietro a queste coalizioni sono state per lungo tempo assolutamente distanti da ogni idea di rispetto istituzionale. I quadri dirigenti venivano dalle lotte e non dal residuo di ceti intellettuali ospiti fissi negli editoriali dei giornali dei padroni. Una cosa certa era la distanza di questi raggruppamenti da qualsiasi ipotesi di accordo con i partiti che governavano. Se da un lato non possiamo non vedere l’inadeguatezza della teoria politica di questi movimenti (l’europeismo a priori, la richiesta di alcune riforme socialdemocratiche che in questo momento sono impossibili), dall’altro non possiamo non notare la distanza tra il punto di partenza di questi movimenti e i primi passi della coalizione sociale.
La necessità di un movimento di lavoratori per i lavoratori
Fatte salve quindi le critiche all’inadeguatezza strutturale di questa ipotesi occorre però chiedersi con franchezza quale ruolo il movimento comunista italiano può avere in questa fase. Da anni ci muoviamo in una situazione devastante in cui il movimento di classe si è disperso in mille rivoli schiacciato tra la decomposizione delle strutture radicali e il passaggio definitivo della ex socialdemocrazia nel campo avverso. La sinistra di classe si muove all’interno di un movimentismo che da un lato sembra l’unica strada percorribile e dall’altro sconta una assenza di strategia e di una teoria del cambiamento. In questa situazione è evidentissima la distanza di tutte le strutture di classe dal mondo dei lavoratori sia nel campo del lavoro dipendente sia nel campo della nuova composizione di classe che non può continuare a esprimersi con la struttura classica della rivolta (il 15 ottobre 2011 ne è l’esempio lampante) senza arrivare mai a darsi struttura organizzativa e strategica. Riteniamo quindi che occorra con decisione affrontare questa impasse attivandosi per la costruzione di strutture e coalizioni che permettano alle strutture di classe di lavorare e di crescere. La mancanza di un soggetto generale dei lavoratori (anche quando assume caratteristiche politiche non adatte alla fase dello sviluppo del capitale) è un problema serio che mette in difficoltà tutti. Abbiamo quindi bisogno di aprire una discussione generale al nostro interno per capire come le forze comuniste possono in questa fase trovare le condizioni minime per agire e trovare i rapporti con la classe. In questo senso l’attenzione a ciò che si muove all’interno della “coalizione sociale” è doveroso per comprenderne la direzione. Se sarà una coalizione di lavoratori sarà una cosa interessante, se sarà una unione di ceto politico sarà una ulteriore perdita di tempo. Ma la direzione che verrà scelta non dipende solo da chi la propone ma anche dalla capacità dei soggetti conflittuali di intervenire all’interno per organizzare la rabbia sociale che è alla base di ogni tentativo di resistenza. Quella rabbia può emergere se sapremo lavorare con la giusta tattica per farla deflagrare dotandoci di quegli strumenti che ci permettono di interagire con la classe direttamente senza paura di sporcarsi le mani.