Come era prevedibile, a distanza di qualche mese, si è riaperta a Genova la partita delle privatizzazioni di AMIU (azienda rifiuti) e AMT (trasporti urbani). Il primo passaggio si era concretizzato nell’estate del 2013 con l’avvio della delibera “privatizzatutto” del Comune di Genova. Nel luglio di quell’anno, la risposta dei lavoratori (soprattutto di AMT e dei lavori dell’azienda di manutenzione pubblica ASTER) aveva in parte bloccato il progetto ferocemente sponsorizzato dal Partito Democratico e avallato dalla giunta arancione di Doria. In quella sede venivano stoppate temporaneamente le privatizzazioni di AMT e ASTER mentre i sindacati confederali accettano l’avvio della privatizzazione di AMIU con un accordo che prevede la cessione del 40% ad un socio privato non identificato.
Nell’autunno del 2013, il Comune di Genova ritornava prepotentemente alla carica sulla privatizzazione di AMT causando la risposta durissima dei lavoratori sfociata nelle cosiddette “5 giornate di Genova”. Al termine veniva siglato un accordo con gli enti locali che prevedeva l’impegno economico della Regione Liguria per l’acquisto di mezzi, lo stop temporaneo alla privatizzazione e l’avvio di una procedura per la creazione di una agenzia regionale di trasporto la cui natura (pubblica o privata) non era esplicitata.
Su quelle giornate siamo già intervenuti più volte (vedi link1). Le difficoltà emerse dopo la firma dell’accordo sono una delle basi per capire cosa sta succedendo in questi giorni.
Cerchiamo in questo articolo di provare a fare un po’ di chiarezza sulle situazioni e sullo sviluppo delle lotte dei lavoratori.
La lotta dei lavoratori AMIU
Le istituzioni locali devono presentare un piano industriale per l’azienda che recepisca l’accordo firmato nel luglio 2013. Su quell’accordo esistono interpretazioni contrastanti. L’avvio della procedura di parziale privatizzazione è messo in dubbio dall’azione dei lavoratori che rifiutano la svendita dell’azienda e la possibilità di creare un ramo virtuoso con capitale privato e una bad company totalmente pubblica. Per i lavoratori più attenti è l’anticamera della svendita di un patrimonio della città. Per i sindacati è una possibilità da non scartare. Le lotte spontanee in azienda spingono comunque i sindacati confederali alla lotta. Rimane l’impressione che, sottobanco, si stia preparando un accordo in cui il processo di privatizzazione è solo mascherato. In questo processo si inserisce la partita degli scandali che scuotono i vertici dell’azienda. Rapporti con la mafia, tangenti e scandali a natura sessuale scuotono la dirigenza che appare comunque intoccabile. Si tratta di una partita legata alle esternalizzazioni dei servizi, processo in atto da tempo e al centro di numerose lotte operaie negli scorsi anni. Per fare solo un esempio, si è conclusa lo scorso anno la lotta degli operai di AMIU Bonifiche che hanno ottenuto il reintegro a tempo indeterminato mentre l’azienda voleva appaltare il servizio a una cooperativa. La lotta si è conclusa con una causa legale in cui l’azienda, oltre al reintegro, è stata costretta a pagare una penale che ricade sulla comunità cittadina.
A questo si aggiunge lo scandalo della discarica cittadina di Scarpino chiusa sotto azione della magistratura perché non in regola con la legge. La situazione in AMIU è dunque questa: un gruppo di dirigenti di nomina strettamente politica intoccabili e in odore di rapporti con la mafia, un processo di privatizzazione che fa perno sulle inefficienze create ad arte da questi dirigenti per favorire la privatizzazione, un sindacato molto ambiguo che sembra fare un lavoro più vicino alle esigenze della politica amica (il PD) che dei lavoratori e un movimento crescente di lavoratori che sta acquistando coscienza della partita in corso. Nei prossimi giorni vedremo gli sviluppi, nel contempo registriamo un corteo con sciopero di circa 1000 lavoratori in cui uno spezzone molto deciso staccato dai sindacati confederali ha portato in piazza considerazioni condivisibili e ben recepite anche da quella parte di lavoratori che continuano a fidarsi delle burocrazie sindacali. Pensiamo che l’intervento di questi lavoratori (iscritti e non iscritti ai sindacati e pezzi di sindacalismo di base USB) vada supportato (link video) (2).
La lotta di AMT
Il casus belli è rappresentato dalla disdetta unilaterale del contratto integrativo aziendale presentato dal Comune e dall’azienda durante l’approvazione del bilancio 2013. Per capirci l’azienda propone una decurtazione di circa il 25% dello stipendio. Questa azione viene giustificata con la difficile situazione di bilancio che non permetterebbe all’azienda di partecipare al bando per la creazione dell’agenzia regionale di trasporto proposta dalla Regione (progetto molto fumoso prodotto dal cilindro magico del Presidente regionale uscente Claudio Burlando).
La risposta dei sindacati è stata pronta e ha assunto dall’inizio toni roboanti. Purtroppo è stata evidente da subito una scarsa partecipazione dei lavoratori alle forme di lotta proposte. Per capire questa scarsa partecipazione occorre analizzarne le cause partendo da una scarsissima fiducia nei sindacati confederali e nel maggioritario sindacato autonomo FAISA che negli scorsi anni hanno spesso ingannato i lavoratori firmando accordi temporanei che non spostavano di una virgola i rapporti di forza e facevano ricadere i costi sui lavoratori e sui cittadini con l’aumento delle tariffe. Il punto culmine di questa disaffezione data al termine delle 5 giornate dove la lotta dei lavoratori, compatta e potenzialmente in grado di trascinare l’intera città, è stata svenduta con un accordo approvato in maniera turbolenta sotto la contestazione di molti lavoratori. In realtà, con il senno di poi, è stato evidente come l’intera partita dello sciopero selvaggio ha scontato la mancanza di una strategia di lotta, mancanza da addebitare alle organizzazioni sindacali. I lavoratori stanno pagando multe salatissime e si ritrovano in una situazione probabilmente peggiore di quella di partenza.
La scarsa fiducia nelle organizzazioni sindacali si ripercuote in una sorta di apatia che da un lato è giustificata, dall’altro lato mette in difficoltà le rivendicazioni. Molti lavoratori ed alcune sigle sindacali sono più interessate ad avviare una pratica legale contro l’azienda sugli integrativi. Questo tipo di lotte, negli scorsi anni, hanno portato a risultati parziali ma non cambiano di una virgola i rapporti di forza tra i governi, le aziende e i lavoratori; tengono fuori dalla partita gli utenti e i cittadini. Non sta a noi indicare ai lavoratori le forme di lotta, sappiamo e condividiamo un giudizio negativo sui sindacati rappresentativi e non abbiamo nulla da eccepire quando si portano avanti battaglia anche di tipo legale per i propri diritti negati ma pensiamo che il problema si affronta con le lotte, con la mobilitazione e con il coinvolgimento della città.
L’occupazione dell’azienda
All’inizio della mobilitazione contro la disdetta del contratto integrativo, le organizzazioni sindacali hanno occupato gli uffici dell’azienda. Si è trattato di una occupazione pressoché simbolica, pochissimo pubblicizzata e che non ha neppure provato a coinvolgere la città. I dirigenti hanno mantenuto il loro ruolo, la strategia sindacale non ha neppure provato a gestire l’azienda che “formalmente” era in mano ai lavoratori. Era un gesto simbolico atto ad ottenere un accordo che non può ragionevolmente arrivare dato il quadro complessivo delle relazioni politiche e sindacali. La fase di stallo ha portato ad un gesto (effettivamente pompato dai media nettamente aldilà della realtà e utilizzato dal Sindaco per mettere in difficoltà i lavoratori) di presunto sabotaggio. Si tratta di un gesto spontaneo che non abbiamo nessuna volontà di condannare ma ci pare il simbolo di una mancanza di strategia sindacale che porta all’esasperazione i lavoratori che ci mettono la faccia, perdono i soldi e rischiano in proprio. L’AMT è un bene pubblico, una volta che si occupano gli uffici il servizio va gestito e va dimostrato all’intera città, alla politica schifosa e ai manager strapagati che i lavoratori possono gestire l’azienda molto meglio e trattare con le istituzioni partendo da un effettivo rapporto di forza. Tutto questo non trova evidentemente sponda in sindacati in passato molto spesso complici.
La radicalizzazione della lotta sta nei fatti oggettivi
Chiunque abbia presente il quadro generale delle aziende pubbliche, la loro gestione spesso fallimentare e le direttive governative (il Piano Cottarelli in linea con i diktat dell’Unione Europea prevede la privatizzazione del 90% del residuo settore pubblico) sa che la lotta sindacale atta a trovare accordi tampone non è in questo momento praticabile. O si accetta la svendita, magari trovando qualche politico che millanta bonus o agevolazioni che poi non mantiene, oppure si pone il problema della difesa delle aziende pubbliche, del controllo dei lavoratori sui servizi e della partecipazione alla lotta dell’intera città. Noi proponiamo ovviamente la seconda strada.
Unire le lotte sul piano sociale e politico
Da mesi stiamo ripetendo che tutto il settore pubblico è sotto attacco. Non lo diciamo noi, lo dice il governo che ha nelle privatizzazioni uno degli assi portanti del suo progetto di ristrutturazione politica. Le situazioni di AMIU, AMT, ASTER sono diverse per tanti fattori ma sono comuni per quanto riguarda la necessità di difendersi e contrattaccare. Questo lo sanno i lavoratori ma evidentemente le burocrazie sindacali non lo sanno o fanno in modo di non saperlo. Arriviamo all’assurdo di uno sciopero AMIU al lunedì e uno di AMT il giorno dopo. Sotto questo aspetto bene hanno fatto alcuni delegati di AMT a partecipare e intervenire allo sciopero di AMIU così come hanno fatto bene i lavoratori e le RSU di ASTER a portare la loro solidarietà ai lavoratori AMT. Loro vogliono dividere le lotte, i lavoratori coscienti vogliono unirle.
Ripetiamo però che la forza senza strategia non ha futuro, è un enorme spreco di generosità da parte dei lavoratori che ci rimettono i soldi che gli servono per arrivare a fine mese.
Non ci sono più i margini per un accordo con questo quadro politico: il PD impone le sue ricette, la destra le approva, il centrosinistra non riesce a proporre alternative essendo invischiato in accordi di potere o essendo incapace di parlare il linguaggio dei lavoratori. I sindacati se non sono complici stentano a dare strategia ad una radicalizzazione che sta nel quadro oggettivo delle relazioni.
Le idee forza devono essere il no netto alla privatizzazione accompagnato da una profonda riforma del sistema clientelare gestito dai manager politici. Il governo dei lavoratori non è più solo un obiettivo a lungo termine ma si tratta dell’unica rivendicazione sensata qui e ora. I lavoratori e i tecnici di AMT e AMIU hanno tutte le capacità di farlo. Contemporaneamente è necessario che questa forza si spenda sul quadro politico: il Governo centrale deve smetterla con la politica dei tagli e trovare i soldi dove sono, combattendo l’evasione, licenziando i manager, eliminando gli sprechi delle grandi opere, espropriando banchieri corrotti, colpendo le rendite. I governi locali devono smetterla di fare i complici, giocando sporco, ingannando i lavoratori che li hanno votati e provando a metterli contro gli alluvionati o le altre categorie di lavoratori
Per questo invitiamo tutti i lavoratori di AMT e di AMIU a lottare, a costruire comitati di lotta che supportino e quando necessario scavalchino le dirigenze sindacali, ad unirsi per una lotta comune.
Uniti si vince
Se divisi non siamo nulla, uniti ed organizzati Noi Saremo Tutto