Con queste righe intendiamo avviare una riflessione collettiva circa quello che a Genova ha rappresentato l’alluvione e sulla mobilitazione popolare che ne è conseguita, sia a livello di volontariato cittadino per la rimozione del fango e dei detriti e la rimessa in funzione della vita quotidiana nei quartieri colpiti, sia per quanto riguarda le mobilitazioni della settimana successiva, in particolare il corteo di sabato 18 che abbiamo contribuito ad organizzare.
Sono passati tre anni dall’ultima violenta alluvione che aveva colpito la nostra città, e mette rabbia il fatto di essere qui a commentarne un’altra, avvenuta a breve distanza di tempo senza che sostanzialmente nulla si muovesse a livello di manutenzione del territorio e dei corsi d’acqua né che alcuna delle opere previste per la messa in sicurezza del Bisagno sia stata neppure iniziata.
Se azzardiamo un indelicato paragone tra le due alluvioni e tra i danni da esse provocati, probabilmente quella del 2011 ha avuto ricadute più drammatiche per Genova. Nonostante le zone fortemente colpite fossero state allora più circoscritte (sostanzialmente tutto avvenne in Valbisagno e zone limitrofe), furono molte le abitazioni e le attività distrutte e quartieri come quello di piazzale Adriatico o di via Fereggiano pagarono un tributo molto alto alla furia della pioggia ed all’inefficacia della prevenzione istituzionale. Inoltre, a causa di diversi fattori (primo tra tutti l’orario: di giorno allora di notte oggi) le vittime furono 6.
Se anche quest’anno le esondazioni fossero avvenute di giorno, parleremmo di un bilancio ancora più grave in termini di vite umane. Invece per fortuna sotto questo aspetto possiamo dire con l’amaro in bocca che poteva andare peggio. Comunque molti quartieri (più che nel 2011) sono rimasti sott’acqua ed hanno subito pesanti devastazioni ed anche adesso il bilancio non può che essere drammatico per coloro che hanno perso molto o tutto. Per molti al danno si aggiunge la beffa di essere anche tra i colpiti del 2011, e magari di star ancora pagando mutui aperti tre anni or sono per rimettere su case ed attività.
Ma se possiamo tranquillamente lasciare a statistici ed osservatori meglio informati di noi i paragoni tra due tragedie di portata immane, diamo volentieri un’occhiata all’aspetto politico istituzionale che di ogni accadimento cittadino costituisce la cornice.
L’alluvione del 2011 aveva fortemente contribuito, con gli scandali seguiti alla gestione Vincenzi dell’emergenza, di cui ancora oggi leggiamo gli strascichi sui giornali, alla delegittimazione di parte della classe politica cittadina targata Partito Democratico ed alla scesa in campo di un presunto “nuovo che avanza” che aveva la faccia dell’attuale sindaco Marco Doria e dalla sua futura giunta arancione, sostenuta da consistenti pezzi dell’associazionismo di sinistra genovese.
Non abbiamo avuto bisogno di un’alluvione per capire che quello che avanzava non era così nuovo e che la gestione clientelare delle precedenti giunte avrebbe solo avuto qualche referente interessato in più. La politica comunale con Doria infatti di nuovo non ha avuto nulla. L’attuale sindaco mai si è messo di traverso ai voleri e gli interessi dei poteri forti del cemento e della speculazione legati al PD. Si continua così a parlare di Terzo Valico e Gronda, grandi opere inutili e dannose e di privatizzazioni di tutto ciò che resta del servizio pubblico in ogni settore. Anzi tutte queste operazioni durante l’operato di questa giunta hanno semmai subito delle accelerazioni, bloccate soltanto come nel caso di AMT dalla mobilitazione popolare e dei lavoratori.
Sappiamo perfettamente che, se accadono tragedie come quella del 9/10 ottobre, le cause vanno ricercate in tutto il folle processo urbanistico che modella le città in base alle esigenze del profitto e a seconda dei voleri del capitale, strappando terra ed aria ai fiumi per coprirli, incanalarli o costruire nuovi parcheggi e supermercati oggi, laddove si costruivano altrettanto scelleratamente fabbriche e capannoni ieri. Sappiamo che i meccanismi di manutenzione del territorio sono saltati da tempo per le costrizioni sociali che da tempo hanno portato via braccia dalla terra, sulla quale il lavoro non ha più una resa economica adeguata, per portarle in porto o in fabbriche oggi in crisi. E che, anche a causa di questo, i nostri monti e i nostri corsi d’acqua, un tempo coltivati e puliti, si trovano in stato di abbandono, contribuendo così a questi drammatici eventi. Sappiamo insomma che, per fare sì che questo non accada più, è un intero modello di sviluppo a dover essere in discussione e non solo a Genova ma su scala globale. E di tutto questo non ci sentiamo certo di incolpare Marco Doria nella sua compiacente e dorata inettitudine. Nonostante questo ci è sembrato giusto chiedere le sue dimissioni insieme a quelle del presidente della Regione Burlando (ben più impelagato del primo nei meccanismi sordidi degli appalti e del cemento), in quanto responsabili politici attuali della situazione e per non aver fatto assolutamente nulla per invertire, anche sul campo della tanto sbandierata sicurezza dei cittadini, la rotta delle scelte istituzionali.
Per quanto riguarda poi la gestione dell’emergenza a tragedia avvenuta poco è cambiato dal 2011 e anche questa volta, se la città è riuscita a rialzarsi in fretta e a riprendere una vita con una parvenza di normalità, buona parte del merito va a tutti quei ragazzi, ma non solo, che sono scesi per le strade armati di pale e stivali, spesso portate da casa, visto che in molte strutture comunali non ce n’erano a sufficienza da distribuire, e hanno prestato per giorni il loro lavoro volontario alla rimozione del fango e dei detriti dai quartieri e dalle case. Spesso mal coadiuvati da un numero insufficiente di camion e mezzi meccanici.
La retorica dei media cittadini li ha dipinti ancora una volta come gli “angeli del fango” e sono state tirate nuovamente fuori le t shirt celebrative di tre anni fa, ma noi eravamo con loro nelle strade e, vi assicuriamo, come molti non ci siamo sentiti angeli. Gli angeli volano mezzi nudi e puliti con sorrisi, “angelici” appunto, stampati sul volto. In quelle strade molta gente era invece sporca e soprattutto incazzata e di angelico non aveva nulla.
A partire da queste considerazioni e con queste incazzature addosso, insieme ad altri, spalatori, cittadini e compagni (a volte tutte e tre le cose insieme), abbiamo contribuito alla costruzione di un corteo cittadino durante il quale più di 1000 persone hanno attraversato alcune delle zone colpite e via XX settembre (la principale via del centro cittadino). L’appello alla mobilitazione, che aveva molto delle considerazioni di cui abbiamo scritto ed è stato fatto proprio da molti comitati territoriali oltre che da quasi tutte le strutture di movimento, ha cercato di dare una lettura politica all’accaduto, uscendo dalla retorica populista che la destra ha come sempre provato a utilizzare per cavalcare gli eventi.
Tutto sommato, diamo un giudizio positivo della mobilitazione che in pochi giorni si è riusciti a far crescere, per quanto, nonostante il numero complessivo dei partecipanti, la quota di partecipanti slegati dal variegato mondo della politica, dei comitati e dell’associazionismo fosse invero piuttosto ridotta.
A posteriori abbiamo sentito alcune valutazioni discordanti che accusano, senza veli, gli organizzatori di aver strumentalizzato l’alluvione, ma senza offrire differenti analisi e giudizi su quanto successo e su cosa si è riusciti a mettere in campo.
Anche se le accuse sono prive di argomentazioni, rispondiamo ugualmente.
Per che fine gli organizzatori avrebbero strumentalizzato? Per interessi personali o di parrocchia? Per fini economici? A che altro sarebbe stato strumentale quel corteo? Per quanto ci riguarda l’unico fine ultimo di quella manifestazione, come di tutte le altre che contribuiamo ad organizzare, è fare qualche passo avanti sulla strada di una graduale presa di coscienza collettiva più allargata possibile e della progressiva messa in campo di una forza materiale costituita da lavoratori e da lavoratrici, da proletari, come si diceva una volta, da contrapporre a quella del potere, dei padroni e di chi ci governa.
Crediamo che perseguire questo obiettivo sia giusto sempre, in ogni occasione in cui emergono le contraddizioni dettate dal capitale, sul lavoro come sui territori. E se provare ad immaginare ogni singolo pezzo di opposizione sociale come un pezzo di qualcosa di più grande, da costruire insieme per immaginare un differente sistema economico ed un nuovo modello di sviluppo, vuol dire essere strumentali, allora lo siamo. Strumentali alla lotta anticapitalista.
Siamo genovesi anche noi e come molti abbiamo subito danni e come ancora più numerosi abbiamo spalato nelle strade dei nostri quartieri, e vorremmo non debba più accadere. Per questo il dibattito che ci sembrerebbe più utile riguarda il come andare avanti in questa città nella costruzione di un fronte dell’opposizione sociale che sappia scegliere nella maniera più corretta modi e tempi di intervento, soppesando le proprie energie, per riuscire a contrapporci alle scelte che la politica vorrebbe prendere sulle nostre teste.
In parte l’anno scorso i lavoratori di AMT e delle partecipate ci hanno mostrato la strada.