Il libro di Vladimiro Giacché: Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa non va semplicemente letto, ma studiato.
Dal suo studio partiamo per sviluppare autonomamente il nostro punto di vista.
Ciò che rende questo contributo veramente interessante non è solo la ricostruzione di vicende storiche che hanno realmente segnato un epoca, ma la constatazione che le dinamiche innescate dall’ “unificazione” si sono estese alla costruzione dell’edificio politico europeo, divenendo tutt’ora un modello dichiarato per intervenire nei paesi europei divenuti PIIGS, Grecia in testa.
Come dichiara esplicitamente l’autore nel capitolo finale: il modello adottato oggi in Europa non è dissimile da quello adottato 20 anni fa nei confronti della Germania Est.
Il mondo in cui viviamo
Se il crollo dei paesi del socialismo reale e la fine del mondo bipolare ha dato ampi margini d’azione alla Germania in Europa e agli Usa nel mondo, ora il quadro dei rapporti tra poli imperialisti, o aspiranti tali, è del tutto mutato. La configurazione degli attuali rapporti di forza e la sua verifica empirica sul piano diplomatico-militare, costituiscono un limite per l’espansionismo tedesco, sotto il cappello dell’UE, e l’inizio della fine dell’egemonia statunitense: le attuali vicende ucraine ne costituiscono un esempio allo stesso modo di quelle siriane.
Se la crisi ha accelerato la tendenza alla guerra dell’imperialismo moltiplicando le linee di faglia tra le aree di influenza fin qui costituite nello scacchiere mondiale, ha altresì esasperato le contraddizioni sociali in quei paesi che per ragioni di politica di potenza dovrebbero trovare una maggiore coesione al loro interno.
Dall’altra parte lo spettro della lotta di classe si è affacciato prepotentemente a livello continentale, così come la profonda sfiducia nutrita dai ceti in via proletarizzazione nei confronti del progetto politico europeo e del suo equivalente generale: l’Euro.
Se la sfiducia nei governanti è crescente, la fiducia della classe in sé stessa non si sviluppa proporzionatamente al crollo di fede nei confronti della classe politica.
Da questo contesto asimmetrico dobbiamo partire: questo è il nostro campo d’indagine e il nostro terreno di lavoro politico: crisi, guerra, lotta di classe sono, in prospettiva, profondamente intrecciate.
Perché parlare dell’annessione della Rdt?
Perché la liquidazione della Repubblica Democratica Tedesca sotto tutti i punti di vista è divenuta un modello per annichilire le strutture politiche di altri paesi svuotandoli della loro sovranità, riconvertire l’economia subordinandola agli interessi del capitale monopolistico tedesco-occidentale e delle frazioni imperialiste della borghesia europea in genere, eliminare le garanzie sociali per il proletariato, in aperta rottura con gli equilibri sanciti dal patto sociale precedente, colonizzare l’universo culturale delle classi subalterne estirpandone i riferimenti di emancipazione in qualsiasi campo.
Lancio di una idea-forza: il capitale come agente rivoluzionario
Nell’unificare la Germania i think-tank tedesco-occidentali hanno fatto loro una idea-forza che ha potenziato il credo neo-liberale, poi fatto proprio con alcune sfumature progressivamente svanite, dai tecno-burocrati di Bruxelles.
Dopo la sua prima applicazione attraverso l’imposizione di regimi dittatoriali in Cile ed in Turchia, successivamente consolidata con le politiche di Reagan negli Stati Uniti prima e della Thatcher nel Regno Unito poi, questa idea-forza ha avuto il suo trampolino di lancio nel cuore della “Vecchia Europa” con l’”unificazione tedesca” e le sue conseguenze, prima fra tutte l’eliminazione di uno stato socialista con un sistema sociale tra i più “sviluppati”.
È proprio con la “caduta del muro” infatti, dopo il quinquennio di gestazione controrivoluzionaria gorbacioviana in URSS, che s’impone a livello egemonico la religione neo-liberale facendo breccia nei cuori della socialdemocrazia europea.
Sinistra, che di lì a poco, sarà pronta ad intervenire militarmente a fianco degli USA nei Balcani, sebbene con obbiettivi divergenti dagli States, per cercare di realizzare ciò che l’azione economica tout court non gli aveva permesso di raggiungere e di fatto relegandosi ad un ruolo di subordinazione rispetto ai dettami nord-americani. La Germania, in fondo, non è riuscita a realizzare pienamente queste mire egemoniche sui Balcani almeno a livello di pacificazione sociale, come dimostrano tra l’altro anche le recenti esplosioni di rabbia proletaria nella ex Jugoslavia.
Dalla avvenuta unificazione inizia ad affermarsi quel “pensiero unico” in grado di allineare le strategie delle élites europee nella costruzione di un polo imperialista continentale, in grado di esercitare quell’egemonia discorsiva che a cascata ha permeato tutti i livelli del ceto politico-economico fino al gradino più basso delle amministrazioni locali a livello trasversale, costituendo una solido modus operandi con cui affrontare la questione sociale che ha avuto un riflesso negativo del tutto rilevante anche nella coscienza di classe, tra l’altro demolendo qualsiasi prospettiva di potere politico associata alle classi subalterne.
Questa linea di pensiero sancisce infatti la messa al bando di una rappresentazione ideologica dei subalterni che non si inserisca all’interno del tracciato delineato dalle classi dominanti, e nega persino anche la pretesa di una rappresentanza semplicemente sindacale/trade-uniosta degli sfruttati.
Se si sa leggere in profondità il vero fine dell’attuale insopportabile retorica contro la casta, questa non mira alla delegittimazione del ceto politico contingente, ma alla legittimazione della borghesia che si assume direttamente su di sé, eliminando qualsiasi intermediario, il governo politico delle contraddizioni sociali, esautorando qualsiasi tentativo di modificare il processo politico sociale da parte di qualsiasi rappresentanza istituzionale all’interno dei perimetri della legalità statuale.
Non è un attacco contro i rappresentanti politici, ma un attacco alla rappresentanza politica tout court.
L’ultimo assalto a ciò che rimane di ciò che può intralciare il processo di valorizzazione, questo è il vero volto della crociata anti-statale, è epilogo della lotta contro “lo stalinismo” nella RDT che costituisce per la Germania e per l’Europa un passaggio fondamentale di questa evoluzione, anche per le forze politiche che si richiamavano anche solo vagamente ad una idea di cambiamento sociale.
I limiti della rivoluzione capitalistica targata UE
Il substrato ideologico che permeava di sé le politiche economiche di “rivoluzione” dall’alto inaugurate dal colpo di stato di Augusto Pinochet nel ’73 in Cile diviene con l’ ’89, grazie alla martellante propaganda borghese, da “conservatore” a “riformista”, anzi “rivoluzionario”.
È la rivoluzione del capitale che tenta di fagocitare ciò che la rivoluzione d’Ottobre prima e l’Armata Rossa poi, così come le resistenze in Europa dell’est, gli avevano sottratto.
È proprio sulla parziale incompiutezza di quel processo per ciò che riguarda non tanto l’avvenuta trasformazione dei rapporti sociali in senso pienamente capitalistico e le trasformazioni economiche avvenute, quanto chi ne detiene il comando, che prendono forma, al di là della loro veste geo-politica, gli attuali conflitti tra Europa e Russia oggi. Emergono cioè i limiti più evidenti del processo di accumulazione capitalistica a guida imperialista europea, quando questa è costretta a giocarsi l’opzione militare per imporne la direzione, sebbene il ruolo della NATO a guida USA non sia secondario dentro questi scenari di crisi.
Un blocco di interessi che incontra comunque evidenti ostacoli quando si scontra con altri blocchi fuori dal proprio “cortile di casa”, dovendo sgonfiare i muscoli e mitigare temporaneamente la propria volontà di potenza di fronte ad una forza di un ordine di grandezza differente propria dei reali competitor internazionali.
Ed è per questo che non è peregrino sostenere che gli sforzi della “potenza” europea andranno a colmare questi limiti, come dimostra l’incessante dibattito sulla proiezione militare della potenza economica tedesca che si è sviluppato da tempo in Germania.
Come scrisse profeticamente Honecker nella prima metà degli anni ‘90: Non vi è dubbio che la lotta per il predominio ha molti pericoli ed incognite, non solo per la Germania, ma anche per tutto il mondo. Si possono anche però sopravvalutare le proprie forze.
La restaurazione neo-coloniale
È all’interno di una restaurazione neo-coloniale che va letto il rapporto tra la RFT e la RDT che viene di fatto annessa, così come il rapporto tra la Germania Unificata ed i Paesi dell’est europeo, e tra la potenza franco-tedesca in primis e il resto dei paesi della UE, o in genere tra economie forti del “centro” ed economie “deboli” della periferia europea.
Restaurazione neo-coloniale che implica per i soggetti coinvolti in questo processo innanzitutto quella “creazione del sotto-sviluppo” a discapito di tutto ciò che c’era prima, così come storicamente si è concretizzato questo fenomeno che dal Tricontinente si è spostato sempre più nel cuore dell’Europa industriale.
Ed è proprio sull’ipotesi dello “sganciamento” dalle potenze neo-coloniali e sulla distruzione dell’edificio politico europeo nel centro che si gioca il futuro delle classi subalterne sul continente.
C’è un rapporto di stampo neo-coloniale che regola i rapporti tra stati, così come tra borghesia imperialista e proletariato metropolitano. Come nel primo che nel secondo caso, la scomparsa di un “blocco socialista” a guida sovietica per quanto social-imperialista e minato dalle sue contraddizioni interne, ha determinato una mutazione dei rapporti sociali tra stati che ha investito anche il rapporto tra le classi. Per l’oligarchia tedesca questo ha voluto dire anche non dovere più “rivaleggiare” con un modello sociale, potendo quindi ridefinire un “patto” differente dove il consenso delle classi subalterne autoctone non era più una questione rilevante, e cioè dispiegare quell’attacco alle condizioni materiali di esistenza del proletariato “tedesco” che il nazismo fino al 1944 non si era nemmeno sognato di attuare.
Nel fare questo ha abbandonato di fatto tutto quel corollario ideologico, alla base profondamente anti-comunista, che ne aveva caratterizzato il periodo della Guerra Fredda: la “società dei due terzi”, “la società aperta”, “la cogestione d’impresa”, l’ “economia sociale di mercato”…
Messe in cantina queste amenità dello spirito tedesco, ritornano alla ribalta i caratteri autentici del capitalismo teutonico: il militarismo, l’autoritarismo, il razzismo e la tendenza alla totalità di cui scrive Honecker…
L’annessione come “salto” storico
Il primo aspetto che colpisce del processo di trasformazione della RDT è la celerità con cui viene compiuto, questo non solo per ciò che riguarda l’unificazione formale prima monetaria e poi politica, ma appunto il conseguente completamento di quelle misure implicite nel tracciato d’impostazione dell’ “unificazione”.
Si comprende bene tenendo conto delle conseguenze avute nel giro di pochissimi anni per la Germania Est in primis, cosa si intende per accelerazione storicae come questa in continuità o in rottura con il quadro precedente ha dettato e detterà i ritmi della storia così come la stiamo vivendo.
Un secondo particolare che emerge è l’irreversibilità totalizzante che questo processo realizza all’interno di una organizzazione sociale maturata in un cinquantennio di sperimentazione socialista, che se pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni ha portato a conquiste per le classi subalterne che non sono mai più state raggiunte.
Questa irreversibilità implica delle conseguenze sul medio-lungo periodo, per cui diviene pressoché impossibile, nell’attuale contesto dei rapporti sociali capitalisti, invertire la rotta dell’immiserimento crescente.
Tutto questo è avvenuto sdoganando una prassi “decisionista”, divenuta poi “inconfutabile” teoria di governo, a livello politico in grado di capitalizzare un consenso momentaneo per compiere quegli stravolgimenti che si sono rivoltati contro coloro che quel consenso avevano espresso, canalizzando l’onda delle mobilitazioni popolari verso obbiettivi che andavano a negare alla radice le loro “ingenue” istanze di cambiamento.
Mobilitazioni senza partito nella morsa dell’imperialismo
Ed il cambiamento innegabilmente c’è stato, ma non verso un maggiore coinvolgimento nella determinazione delle proprie esistenze come voleva l’opposizione nella Rdt, ma verso l’esclusione definitiva dal processo decisionale.
Una analisi esaustiva e non liquidatoria delle acquisizioni sociali e delle contraddizioni sociali nella Rdt: Non avevamo tutto, ma avevamo molto, scritta da “Arbeitskreis” (collettivi operai Rdt)la si può trovare sul numero 11 di Controinformazione Internazionale http://www.senzacensura.org/public/arkivio/c11f.htm
Le richieste di rappresentanza pubblica e di maggiore partecipazione da parte di una porzione di cittadini della RDT hanno finito per indebolire l’edificio politico che a parole volevano consolidare perché tutta l’opposizione voleva mantenere, fino ad un certo punto il carattere socialista e l’indipendenza nazionale della RDT.
Questa inconsapevole “demolizione per procura” di cui l’opposizione, se non è stata la quinta colonna, ha prestato scelleratamente il fianco, inaugura la stagione delle rivolte “tossiche” in Europa che sanciscono la fine del Novecento.
Una lezione storica che dovrebbe essere definitivamente appresa e di cui si dovrebbe fare tesoro: è la direzione generale stabilita da colui che detiene un rapporto di forza favorevole a livello di poli imperialisti o aspiranti tali che stabilisce l’output di una mobilitazione popolare, quando questa non riesce ad imporsi autonomamente e non ha la forza per realizzare concretamente le sue istanze radicali anche perché manca di una “profondità strategica” e di movimenti reali altri a cui legarsi, anche se matura da spinte endogene cresciute all’interno di contraddizioni reali. Il capitale ha dimostrato di essere il vero artista del détournement storico, erede a modo suo della teorizzazione della “distruzione creatrice”.
Erich Honecker nei suoi Appunti dal carcere centra perfettamente la questione analizzando le spinte oggettivamente contro-rivoluzionarie che hanno indossato le vesti di aneliti libertari prima in URSS e poi all’interno della stessa Germania Est, anche all’interno della SED, poi PDS: Sì, bisogna mettere in chiaro che gli “innovatori” del 1989-90 furono oggettivamente, che l’abbiano voluto o meno, gli attuatori pratici della controrivoluzione. Chi si sentisse chiamato in causa può solo spartire il proprio rimorso con gli altri. È una realtà che larga parte dei cittadini manipolati ancora non vuole accettare.
Era una battaglia politica tra una forza che si stava indebolendo e una che prendeva sempre più forza, da questa sconfitta c’è stata la definitiva inversione di quel fenomeno ben sintetizzato dagli Offlaga Disco Pax: il socialismo era come l’universo, in espansione.
I due termini irriducibili e poli della dialettica storica tornano ad essere l’imperialismo da un lato e la classe per sé dall’altro, la sconfitta dell’uno presuppone la vittoria dell’altra e viceversa, non ci sono mediazioni possibili.
Dalla profonda incomprensione di questo processo prende corpo l’ultima e più virulenta ondata “revisionista”, divenuta linguaggio politico egemone anche all’interno di non secondarie porzioni della sinistra di classe e il tema del potere politico sfuma progressivamente dentro le moltitudini.
Europa di oggi riflesso dell’annessione di ieri
Dopo questi iniziali spunti di riflessione, seguendo grosso modo l’articolazione espositiva che ne fa l’autore, procediamo con ordine ed elenchiamo i seguenti aspetti, approfondendone alcuni, che sono una prefigurazione di ciò che è avvenuto successivamente in Europa e che hanno caratterizzato l’annessione della Rdt.
Se per un quadro più dettagliato rimandiamo naturalmente al libro, di cui è inutile riprodurre in questa sede la profondità e la densità descrittiva, fabbricandone “un doppione”, vogliamo comunque provare a farne una sintesi ragionata che ci consente di fare alcuni ragionamenti.
1)Creazione dell’Unione Monetaria, come un atto di vera e propria “guerra monetaria”, straordinario vincolo economico e premessa indispensabile alla successiva “subordinazione” politica, che non mitigherà anzi accrescerà notevolmente il divario tra vecchi e nuovi Laender. Inutile dire che l’unione monetaria europea sarà il frutto di ciò che è stato prodotto in Germania, che ha scommesso su questo vincolo forte a livello continentale, come superamento dei limiti dell’unione politica pregressa e base per i suoi ulteriori sviluppi.
2)Il processo di privatizzazione attraverso un’ agenzia creata ad hoc la Treuhandanstalt, operante tra il ’90 e il ’94 e che ha liquidato l’economia di un intero paese producendo una distruzione di capitale che non ha precedenti in tempi di “pace”. Questa arma di distruzione di massa è il modello esplicitato per la cura dei paesi europei periferici, in primis la Grecia: chi vuole vedere il proprio futuro all’interno dell’Europa, deve interrogare il recente passato della Germania riunificata.
3) la creazione dal nulla del debito “fittizio” ma vincolante per il futuro dei soggetti indebitati, attraverso la subordinazione di norme legislative “nuove” rispetto a quelle precedenti, una sorta di creazione del debito tramite il diritto. Eloquente il caso di quelle aziende, anche nostrane, a partecipazione pubblica, il cui “debito” è costituito dal finanziamento pubblico di queste, e preso come ragione della loro auspicabile privatizzazione come si trattasse di un rapporto debito/credito tra privati.
4) L’espropriazione definitiva a fini di rendita del patrimonio immobiliare pubblico e dei vari commons urbani, rurali e forestali, come vero e proprio processo di espropriazione senza indennizzo che contribuisce al rilancio del processo di accumulazione. Anche qui il precedente tedesco fa scuola in Europa…
5) Delegittimazione delle forme di rappresentanza politica precedente e dei suoi vettori, messa al bando non solo della vecchia dirigenza politica ma vera e propria epurazione del personale che ne costituiva l’ossatura fondamentale in ogni ambito della vita sociale.
6) Distruzione di un modello di garanzie sociali che passavano attraverso lo stato, le sue politiche abitative e scolastiche, così come della fruizione e pratica gratuita della cultura, dello sport, del tempo libero in genere.
Come detto sopra, ricostruiamo sinteticamente due aspetti: l’unione monetaria e la politica della Treuandanstalt.
Unione Monetaria: la guerra altri mezzi
L’idea di una unione monetaria nasce da un gruppo di lavoro interno al ministero delle finanze della RFT già dal dicembre dell’89, mentre la proposta formale è del 7 febbraio dell’anno successivo, giorno in cui Kohl avanza tra lo stupore generale la proposta di avviare immediatamente trattative in questo senso.
È la scintilla che incendia la prateria degli illusori appetiti consumistici di una parte dei cittadini della Rdt…
Dopo le elezioni di marzo in RDT, che stravolgendo le previsioni dei sondaggi, danno la vittoria alla formazione politica del cancelliere occidentale che farà la parte del leone nel governo che entrerà in carica nella prima metà di aprile insieme alla neo-nata socialdemocrazia orientale, si lavora celermente ad un trattato sull’unione monetaria, economica e sociale, destinato ad entrare in vigore il 1° luglio novanta.
Due fattori fanno premere l’acceleratore alla classe dirigente occidentale: le condizioni favorevoli a livello internazionale alla RFT con l’abbandono da parte della dirigenza sovietica di ogni tentativo di ostacolare la politica annessionista tedesco-occidentale e l’entrata della Germania riunificata nella Nato, le imminenti votazioni prima in Rdt e a fine anno in Rft, che sembravano non prevedere un esito negativo per Kohl che decide per questo di giocarsi la carta dell’unità monetaria.
La “caduta del muro” a inizio novembre, preceduta dal flusso di immigrazione verso l’occidente tramite l’Ungheria, così come le manifestazioni in Rdt e la fine dell’era Honecker, hanno posto le basi per un avanzamento delle posizioni del capitale monopolistico tedesco.
L’affondo viene realizzato in un clima decisionista, in cui ci si sembra giocare il tutto per tutto e in cui il terrorismo psicologico nei confronti della popolazione dell’Est, il cui stato veniva dichiarato falsamente prossimo all’insolvenza, ha avuto un peso rilevante.
La strategia di accelerazione dell’unione monetaria aveva un fine preciso, secondo le parole di uno dei suoi ideatori, Sarrazin: con l’immediata incorporazione dell’economia della Rdt nell’area economica e valutaria del marco tedesco il processo di riforma acquisisce una nuova qualità, una configurazione completamente diversa: quel rompicapo, quei problemi quasi insolubili, come la possibilità di introdurre in un sistema di economia pianificata – rapidamente e senza costi sociali eccessivi – un sistema di prezzi funzionante, la competizione, un mercato di capitali efficace, svaniscono, in quanto tutto questo è già presente il giorno stesso della conversione.
Nessuna transizione graduale in un difficile scenario di adattamento come prevedeva l’azione incisiva dell’ultimo governo delle Rdt prima delle elezioni di marzo, ma una terapia dello shock tesa a distruggere l’economia della Germania orientale: questa la nuova qualità del processo innescato dalla Rft.
Fu un disastro annunciato dovuto ad un impatto traumatico sia riguardo ai singoli cittadini, in termini di brutale innalzamento del costo della vita e evanescenza dei propri risparmi, che per l’economia che non poteva reggere la collisione con la concorrenza tedesco-occidentale, senza potere svalutare, in un contesto di costi di produzione schizzati alle stelle.
Il tasso di cambio imposto di 1/1 tra le due valute, a dispetto di quello più realistico con cui la valuta tedesco orientale, sebbene non convertibile, scambiava i propri prodotti con l’estero di 1 DM contro 4.4 marchi della RDT ebbe un effetto devastante.
Così Handelsblatt, il principale quotidiano economico tedesco, commentava la fuorviante assimilazione tra l’unione monetaria delle tre zone d’occupazione della Germania occidentale nel ’48 e l’unione monetaria che si voleva consumare, paragone utilizzato dalla propaganda filo-unitaria:
Se la Germania Occidentale nel 1948 fosse entrata in una unione economica e monetaria con gli Stati Uniti d’America, e precisamente al cambio di 1 a 1 tra il marco e il dollaro, la sorte che è toccata alla Rdt rispetto al marco occidentale, sarebbe stato in realtà tradotto in pratica il piano Morgenthau, che prevedeva la desertificazione della Germania. Questo piano proposto nel ’44 e poi abbandonato dopo la guerra prevedeva la completa deindustrializzazione della Germania e la sua trasformazione in un paese a vocazione agricola e soprattutto pastorale!
Noi privatizziamo tutto
La Treuhandanstalt (abbreviato Treuhand), nell’intenzione dei suoi originari ideatori e nella sua prima formulazione del 1° marzo novanta doveva riorganizzare e tutelare la proprietà pubblica, preparandosi ad operare in un contesto mutato di rapporti sociali capitalistici, in una strategia graduale di adeguamento all’economia di mercato.
Ciò non avvenne.
Su pressione dei banchieri venne eliminato ogni vincolo alla privatizzabilità del patrimonio industriale della Rdt – mentre una legge dell’ultimo governo della Rdt guidato da Modrow aveva previsto un limite massimo del 49% – e si evitò che le società da privatizzare assumessero la forma di società per azioni, per le quali la legge della Germania Ovest prevedeva la Mitbestimmung, ossia alcuni poteri di controllo sulla gestione delle imprese per le rappresentanze dei lavoratori.
Così la nuova legge sulla Treuhand, venne votata il 17 giugno dalla Volkskammer, due settimane prima dell’avvio della moneta unica, in modo da poter entrare in vigore anch’essa il 1° Luglio.
Per fare passare la legge venne addirittura cambiata in extremis la costituzione della Rdt, per consentire la vendita senza limitazioni della proprietà pubblica del suolo e dei mezzi di produzione.
La “legge sulla privatizzazione e riorganizzazione del patrimonio di proprietà del popolo”, iniziava così: I beni di proprietà del popolo devono essere privatizzati.
E ciò avvenne senza il rispetto di quei minimi criteri di controllo, trasparenza, efficienza di cui si riempiono la bocca i cultori del libero mercato.
Lauti compensi, impunità, secretazione dell’informazioni da parte del governo sulle attività svolte da questa agenzia, nessun reperimento di informazioni sui compratori, nessuna vera valutazione del patrimonio da privatizzare, e molto altro sono solo alcuni aspetti di una “svendita” che getta più di un ombra sul “modello” Germania che anche qui in Italia ci viene propinato come sinonimo di indiscutibile serietà.
La Treuhand ebbe tre presidenti, il primo R.M.Gohlke ben presto rimosso perché probabilmente voleva dare la priorità al risanamento delle imprese piuttosto che alla loro liquidazione, il secondo, D.V.Rohweddr venne ucciso dai compagni/e della Rote Armee Fraktion il 1° aprile del 1991, la terza Brigit Breuel, già responsabile di filiali di questa “agenzia” aveva dichiarato: in soli 4 mesi abbiamo venduto 1.000 imprese. La signora Thatcher ne ha privatizzato soltanto 25 in 2 anni, e il governo della RFT ha bisogno di un anno per privatizzarne una. Nessuna autorità del mondo sarebbe stato in grado di fare quello che siamo stati capaci di fare noi.
Le eredi di questa agenzia che ne completarono il lavoro sporco, privatizzando da un lato risorse agricole e forestali, dei corsi d’acqua e dall’altro gli immobili furono la BvS, operante dal 1 gennaio del 95 alla fine d’ottobre del 2003, e la Tlg, già scorporata dalla Treuhand nel ’91, per vendere le proprietà immobiliari della ex Rdt, qualcosa come 40.000 immobili, che venne venduta dal governo tedesco nel 2012 al fondo di investimento statunitense Lone Star per 1,1 miliardi di euro, che è tuttora il principale operatore immobiliare della Germania Est.
Ai tedeschi dell’ovest andò l’87% delle imprese privatizzate, agli acquirenti stranieri il 7%, e appena il 6% agli ex cittadini della Rdt.
Lasciamo direttamente la parola all’autore che sintetizza questo processo: le imprese che furono vendute subito (sottocosto) e furono acquistate da capitalisti della Germania Ovest (in qualche caso ancora prima che comparisse la Treuhand) appartenevano a una categoria ben precisa: si trattava di monopolisti locali in settori sottratti alla concorrenza internazionale, quali le assicurazioni, le banche, le catene alberghiere, le imprese del settore energetico (ad es. le centrali elettriche), le catene dei negozi e supermercati, e le raffinerie di zucchero.
Tutte le altre privatizzazioni furono effettuate principalmente per quattro ragioni: intascare i contributi pubblici per il risanamento dell’impresa collegati alla privatizzazione, effettuare speculazioni immobiliari (cioè chiudere la fabbrica e vendere il terreno su cui era stata costruita o altri annessi immobiliari), eliminare dei concorrenti(comprare l’impresa per chiuderla), trasformare l’impresa acquisita in filiale operativa della casamadre dell’ovest.
Alla fine del suo operato questa agenzia aveva distrutto valore per 1.000 miliardi di marchi…
Basti pensare che il valore delle frequenze per i telefonini è risultato superiore di un terzo a quanto ricavato dall’intera economia della Rdt, e si ha un idea quanto colossale sia risultata questa truffa!
Ma questo gigantesco esproprio del capitale monopolistico tedesco ai danni della popolazione della ex Rdt attraverso i soldi del contribuente tedesco occidentale ha causato la distruzione della base industriale della Germania Est e l’eliminazione di ben più di 4 milioni di posti di lavoro, creando un immenso esercito industriale di riserva, qualificato e “migrante” che tallonasse le garanzie raggiunte dalla forza-lavoro nell’ovest, e “disciplinando” una porzione consistente di proletari che per la loro sopravvivenza sono costretti a ricorrere o alle mansioni più dequalificate e malpagate, o a sottoporsi ai criteri sempre più rigidi di erogazione di reddito attraverso lo stato sociale.
Ha di fatto creato un tessuto di piccole e medie imprese subordinate al capitale monopolistico tedesco, solitamente caratterizzate da un basso valore aggiunto e da un rapporto di subfornitura con l’ovest: facendo divenire ciò che è rimasto l’anello più debole della catena produttiva.
È servita come trampolino di lancio per le politiche economiche verso l’Europa orientale del capitalismo tedesco occidentale che si è sostituito proprio alla Germania Est nell’assolvere questo compito.
Conclusioni…
La parte finale del libro ci fa compiere un salto temporale dandoci un quadro della Germania oggi e del suo ruolo in Europa, individuando anche delle ricette per “uscire” da questa situazione.
Se la parte analitica è senz’altro interessante, la parte propositiva non lo è altrettanto almeno per noi che molto sinteticamente riteniamo i margini di riformabilità dell’Europa così com’è pressoché nulli, se mai ce ne fossero stati.
Alla domanda: è possibile un’altra Germania all’interno di un’altra Europa? Rispondiamo seccamente: No!
Su questo aspetto abbiamo dedicato in particolare il nostro primo seminario di approfondimento sulla costituzione del polo imperialista europeo, pubblicando sul sito la relazione, che si basa prevalentemente ma non esclusivamente sul libro “Fuori dal Capitale! Materiali sulla crisi in Europa” del Centro di Documentazione Wacatanca, relazione a cui volentieri rimandiamo, non volendoci qui dilungare ulteriormente.
Ed è proprio sulle trasformazioni della Germania una volta concluso il processo di unificazione che dedicheremo il prossimo contributo in continuità con questo e quello che l’ha preceduto sul libro di H.Jaffe. Lo faremo sempre con lo stile di “note di lettura” che partendo da alcuni contributi significativi cerca di sviluppare un ragionamento autonomo, segnalando i lavori per noi più pregevoli recentemente apparsi.
Allo stesso tempo vorremmo riproporre alcuni materiali che riteniamo utili per l’approfondimento e che contribuiscono all’acquisizione e al consolidamento di un nucleo teorico indispensabile per l’azione politica attuale.
Collettivo Genova City Strike – Noi Saremo Tutto