Introduzione dell’assemblea “verso e oltre il 19 ottobre” che si è tenuta oggi a Genova.
Chi siamo e il perchè di questo incontro pubblico Cari compagni, innanzitutto voglio dire che il manifesto che invitava all’assemblea non era firmato: questo non per volontà di nascondere chi organizzava questa assemblea ma per il fatto che gli organizzatori non sono ad oggi una organizzazione o un collettivo strutturato, ma sono un gruppo di compagni che in questi ultimi mesi si è visto ed ha discusso più volte con l’idea di formare una rete genovese che ancora non ha nè nome nè struttura. Siamo quel gruppo di compagni che ha messo in piedi l’assemblea “Noi saremo tutto” in primavera discutendo di nuova composizione di classe, conflitto e organizzazione, ha organizzato un incontro pubblico il 29 giugno per discutere della necessità di costruire un coordinamento politico e organizzativo delle lotte sul territorio genovese e ha discusso del nesso tra crisi del capitale e guerra imperialista partendo dalla situazione siriana in occasione di una assemblea pubblica nell’anniversario della strage di Sabra e Chatila. Di tutto questo lavoro, e della sua organizzazione preliminare sono disponibili vari atti e interventi, qualcuno di voi ha partecipato o avrà saputo in qualche modo. Questo per dire che non ci nascondiamo e vogliamo fare presente chi siamo e cosa abbiamo intenzione di fare. In questo frangente, ci premeva creare un momento di confronto pubblico per spiegare politicamente perchè lavoriamo per le due manifestazioni del 18 e del 19 ottobre. Perciò abbiamo deciso di tenere questo confronto pubblico.
La nuova composizione di classe e il vuoto di analisi politica che vediamo
Riteniamo che si colga, in questo frammento della nostra storia, un vuoto di analisi politica sulla fase del capitalismo che stiamo attraversando, su cosa è successo in questi anni, su come è cambiata la composizione sociale della classe che vorremmo rappresentare. Partire da questa analisi ci pare un punto di metodo imprescindibile per non sprecare energie in questa che è stata una lunga fase di resistenza, che tutti i presenti in questa assemblea hanno compiuto con grande intensità ma che giunge ad un punto in cui è necessario trarre alcune considerazioni. Bisogna, crediamo, chiedersi se in questi anni siamo riusciti ad andare oltre la testimonianza di un disagio nostro, un disagio del nostro vissuto. Testimonianza che è necessaria, ma che non ha impedito in questi anni alcunchè rispetto all’azione delle classi dominanti. Abbiamo assistito, e assistiamo tutt’ora, ad una generale ed incessante sottrazione dei diritti, aumento della precarietà, sottrazione di salario differito attraverso gli aumenti degli affitti, delle tariffe, dei costi dell’istruzione e della cultura. La sanità pubblica è al collasso, l’industria e il lavoro che ancora rimangono vengono spostate all’estero dove il capitale può con tranquillità aumentare profitti e sfruttare meglio i lavoratori. Il paradigma delle grandi opere può essere utilizzato come metafora di un sistema che si disinteressa totalmente delle fasce deboli (chi viaggia sui treni pendolari ad esempio) e cura solo gli interessi delle imprese, delle cooperative (alcune rosse di vergogna) degli speculatori e della mafia.
Cosa ci indicano in prospettiva le due giornate del 18 e del 19
In questo senso arriviamo alla manifestazione dell’ottobre (tutti gli anni scendiamo in piazza in questo periodo) con in tasca pochissimo se non alcune strategie di resistenza che tutti condividiamo e che tutti vogliamo emulare come esempio positivo delle cose da fare. La resistenza della Val di Susa e il movimento per la casa che da Roma si allarga al territorio nazionale sono ad oggi le strategie che appaiono più efficaci per tutti i movimenti di lotta e, non a caso ed opportunamente, sono al centro del significato politico che si vuol dare alla giornata del 19 ottobre. Al centro però, mettiamo anche l’accoppiata tra lo sciopero dei sindacati di base del 18 ottobre e la manifestazione del giorno dopo. Ci pare, con tutte le difficoltà del caso, che si alluda ad una volontà di saldare le lotte classiche dei lavoratori sui luoghi tradizionali di lavoro (e quindi anche di sfruttamento) ad una lotta più generale sul territorio, per i diritti. Questo tentativo di unione ci pare importante, e di gran lunga l’elemento più interessante di questa ondata di mobilitazioni. Per questo siamo qui oggi, chiedendoci quindi il perchè politico del nostro andare a Roma e il perchè del nostro sostegno attivo a Genova. Il perchè sta tutto nella necessità di far capire ciò che ci rivelano i dati statistici sulla composizione di classe soprattutto nei territori metropolitani: la consapevolezza che ciò che unisce i lavoratori e gli sfruttati oggi è un qualcosa che va cercato ancora davanti alle fabbriche ma va anche cercato nei quartieri, nei territori, nelle valli devastate dai tunnel ferroviari e dalla speculazione.
Il conflitto capitale lavoro è ancora al centro della nostra analisi?
Noi crediamo che al centro di tutto stia ancora il conflitto tra capitale e lavoro. Non crediamo che questa contrapposizione oggi sia esaurita o abbia talmente cambiato i connotati da essere una categoria superata. Ciò che succede nelle nostre città è una continua estrazione di salario differito e diritti di cittadinanza che va di pari passo con la ristrutturazione che l’Europa e il capitale stanno portando a compimento con la complicità dei governi, senza alcuna distinzione tra vecchia (e questa sì, davvero, superata dallo sviluppo storico) socialdemocrazia e destra liberale. In questo senso davvero non ha più senso pensare di agire il movimento e il conflitto in maniera separata dall’analisi, dalla politica e dall’organizzazione. E’ definitivamente tramontata l’idea che i movimenti e le lotte si fanno rappresentare da qualche residuo della ex sinistra (perchè ha funzionato pochissimo e male dieci anni fa, perchè oggi non è possibile neppure pensarlo), ma è anche tramontata l’idea che i movimenti fanno per se, in maniera separata dalla politica.
Dalla rappresentanza politica all’autorappresentazione
Oggi riteniamo che il conflitto non debba rifiutare la rappresentanza ma si debba autorappresentare. Intendiamo con questo che dobbiamo impegnarci con criteri organizzativi più stringenti per allargare la nostra base di influenza e le nostre parole d’ordine anche verso chi, pur subendo in maniera fortissima i guasti e i disastri della ristrutturazione capitalista, non si mobilità ancora per vari motivi. Questa fetta di proletariato non viene ai cortei, non partecipa alle assemblee e, questa è una novità, non crede nemmeno più che i suoi problemi possano essere risolvibili votando un po’ più a sinistra o entrando in un sindacato meno complice. Tutte queste persone vanno raggiunte e convinte a ribellarsi. Per fare questo occorre uscire da varie riserve indiane e pensare che, comunque vada il 18 e il 19 il nostro compito è portare le parole d’ordine del conflitto sociale in tutte le vertenze anche sui nostri territori. Pensiamo che tutto questo si possa fare con più forza e più capacità politica di parlare con quel proletariato che ancora non raggiungiamo. Spiegando bene che chi lotta anche per una sola vertenza può anche vincere la sua sacrosanta battaglia di gruppo ma in realtà perderà la guerra generale contro il sistema che crea quei mostri che lo rendono sfruttato.
Chiediamoci che fare dopo il 19 ottobre
Con questo spirito andiamo a Roma dove in maniera forse ancora informe e con criteri organizzativi tutti da verificare ( e che forse qualche problema di comprensione potranno crearlo) scendono in piazza quei lavoratori e quei movimenti di lotta che hanno capito che non vorrà nulla per loro dalla creazione di un nuovo centrosinistra più rigoroso e più progressista di quella schifezza che abbiamo oggi. Ci andiamo non per partecipare ad alzate di ingegno che durano lo spazio di un giorno o che riempiono qualche giornale ma per capire a che punto siamo e per lavorare ad una ricomposizione vera che non verrà da una ricomposizione nazionale di chi in questi anni ha distrutto la sinistra che poteva e doveva esserci ma che nascerà se saremo in grado di portare un conflitto generalizzato nei territori, tutto questo unito ad una precisa direzione e strategia politica. Non chiediamo perciò di fare un coordinamento per aiutarci a vicenda, non chiediamo di fare una mailing list ommnicomprensiva per essere di più in piazza. Queste cose le facciamo già, si possono fare meglio come è ovvio, ma ciò che riteniamo utile è un’altra cosa: la ricomposizione dei movimenti e dei collettivi di lotta in una struttura organizzativa comunista e anticapitalista, cominciando a discuterne, a riunirci periodicamente, a dividerci i compiti, ad assegnarci incarichi.